La Lazio ha pescato il Bayern Monaco. Abbinamento di superprestigio: i bavaresi sono i detentori della Champions League. Questo, per brevità, il loro palmares:
3 Champions League 3 Coppe dei Campioni 1 Mondiale per Club 2 Coppe Intercontinentali 1 Coppa delle Coppe 1 Coppa UEFA 30 volte campione di Germania 20 Coppe di Germania
Giocatori insigniti del pallone d’oro: Gerd Muller (1970) Franz Beckenbauer (1972, 1976) Karl-Heinz Rummenigge (1980,1981)
Inutile dire che si tratta di un confronto proibitivo, ma anche le altre 5 possibili avversarie sarebbero state ostacoli molto difficili da superare.
La Lazio non ha mai affrontato il Bayern in competizioni internazionali. L’unico precedente è l’amichevole giocata all’Olimpico nell’agosto del 1974, prima uscita in casa con lo scudetto sul petto, finita 1-1 contro i tedeschi, anche allora detentori della Coppa dei Campioni, con in campo Maier, Schwarzenbeck, Beckenbauer, Hoeness e Muller freschi vincitori del mondiale 1974, battuta in finale l’Olanda di Cruijff.
I monacensi dovranno giocare la fase finale dei mondiali per club in Qatar, in programma all’inizio di febbraio, con finale l’11: due gare ravvicinate, semifinale e finale, per poi affrontare i biancocelesti all’Olimpico il 23. Ritorno in Germania il 17 marzo.
Il Bayern è allenato da Hans-Dieter Flick, nel cui staff figura l’amatissimo ex biancoceleste Miro Klose, come vice allenatore. La squadra gioca con un modulo 4-2-3-1. Capitano è il leggendario Neuer, punto di forza della Germania campione del mondo nel 2014 in Brasile, insieme a Boateng e a Thomas Muller. Nazionali tedeschi anche Goretzka e Kimmich, centrocampisti, Sané e Gnabry, due attaccanti esterni che abbinano tecnica e velocità. L’attacco è guidato da Robert Lewandowski, UEFA best player 2020, plurititolato campione polacco, battuto da Ciro Immobile nella corsa alla scarpa d’oro 2020. Poi Davies, Alaba, Hernandez, Coman, vecchia conoscenza del campionato italiano, eccetera.
Un assortimento di campioni per due serate di gala in cui la Lazio dovrà dare il meglio per non sfigurare. I tifosi, memori delle numerose larghe vittorie recenti del Bayern, hanno preso con ironia il sorteggio: ci si augura di non emulare la Roma, che con i tedeschi subì uno dei suoi famosi 1-7, tra le mura amiche. La Lazio sa dare il meglio quando lo stimolo è forte, se si batterà al meglio non dovrà temere sconfitte mortificanti. La priorità, intanto, è il Benevento…
Un rinnovo contrattuale che tarda ad arrivare, il rendimento altalenante della squadra, i mugugni dei tifosi che non si accontentano dell’ottavo di finale, le critiche sulla condizione fisica della squadra e sul suo assetto tattico: Simone Inzaghi si appresta a sfidare il fratello in un momento molto delicato.
Raggiunto il prestigioso obiettivo della qualificazione agli ottavi di finale in Champions League, i tifosi si aspettano un deciso miglioramento del rendimento in campionato. Difficile da realizzare con il poco tempo a disposizione prima della gara contro l’ostico Verona, ma l’analisi non si può limitare alla gara di ieri. I numeri del campionato sono imbarazzanti: 5 punti in 6 partite in casa, compensati in parte dal buon rendimento esterno. Una caterva di gol subiti, quasi due a partita, spesso originati da errori individuali, e una condizione ottimale che non torna.
Dopo la fine del lockdown, che fermò una squadra lanciatissima, in piena corsa per lo scudetto, la Lazio ha avuto un rendimento pessimo in campionato: 10 vittorie, 3 pareggi e 10 sconfitte in 23 gare. Una media da centroclassifica mediocrissima. Una condizione fisica sempre carente, una lunga serie di infortuni, con l’aggiunta del Covid. Non c’è pace, per Inzaghi, nel 2020.
Ma lui, dicono i tifosi, ci mette del suo. Normale, visto che si tratta del responsabile tecnico della squadra. A Inzaghi si rimprovera la rigidità tattica e l’insistenza su qualche nome che pare bollito. Nel calcio la memoria è corta, quindi inutile ricordare gli ottimi risultati ottenuti dalla Lazio con Inzaghi alla guida. Si potrebbe riconoscergli l’attenuante di una rosa non ottimale per gli obiettivi di inizio stagione, ma lui ha sempre detto che la società ha fatto uno sforzo importante, migliorando di molto la rosa dal punto di vista numerico.
Ma è così? Tra i nuovi, si sono felicemente inseriti Reina e Akpa Akpro, tralasciando Hoedt che è rientrato in un meccanismo che conosceva bene. Procede a rilento l’inserimento di Fares, chiamato a sostituire Lulic, uomo importantissimo nell’ultimo decennio laziale. Guai fisici, tra covid e infortuni, hanno fermato più volte Muriqi ed Escalante, mentre Pereira, che ogni volta in campo ha mostrato di essere un giocatore di talento, trova ancora poco spazio.
In più c’è la rigidità del tecnico su un modulo, il 3-5-2, cucito addosso a una squadra che faceva affidamento sul formidabile rendimento di Leiva e Acerbi per coprire le spalle ai quattro talenti che fanno la differenza: Immobile, Luis Alberto, Milinkovic-Savic e Correa. Difficile dire se una diversa disposizione tattica potrebbe migliorare il rendimento della Lazio, ma sembra evidente il regresso dell’organizzazione difensiva negli ultimi tempi.
A proposito di difesa: il cambiamento continuo della posizione di Acerbi, la variazione frequente del terzetto dei centrali, che ha visto alternarsi Patric, Hoedt, Radu, Parolo e Luiz Felipe vicino al leonino difensore della nazionale, la copertura insufficiente degli esterni, anche loro spesso alle prese con problemi fisici: sono tutti elementi che compongono un quadro difficile. I problemi della Lazio si spiegano così: tante incertezze, tanti eventi che girano contro, tante difficoltà che prese singolarmente sembrano banali ma messe insieme fanno la differenza.
Il club, poi, sconta il fuoco di una stampa ostile, principalmente per motivi di politica calcistica. E tarda a sbrogliare il nodo della conferma del tecnico, che invece sarebbe importante per recuperare certezze. Nel calcio la solidità della panchina è un elemento fondamentale, se viene meno aumenta l’incertezza e oggi la Lazio ha bisogno di punti fermi, prima di arrivare a giocarsi le sue (poche) chance nell’ottavo di finale di Champions League, contro un avversario che, comunque vada il sorteggio, sarà proibitivo.
Urge, insomma, una svolta: impensabile e insensato sarebbe oggi l’esonero del tecnico. L’effetto-scossa potrebbe essere dato, quindi, dalla sua conferma, oltre che da un finale importante del 2020: tre partite, contro Benevento, Napoli e Milan, che chiariranno qualcosa sulla reale consistenza di questa squadra, lontana dalla micidiale macchina da gol ammirata nell’inverno scorso, ma ancora in grado di reagire.
Chi è causa del suo mal pianga sé stesso: la Lazio regala due gol al Verona e soccombe, stanca, sfortunata e nervosa. Una prestazione in chiaroscuro, condizionata dall’avversario: un Verona preciso, energico, che ha preparato alla perfezione la gara, con una settimana di lavoro alle spalle che gli ha consentito la migliore interpretazione del tema tattico preparato da Juric, che si conferma allenatore rognoso e battagliero e stratega finissimo.
Inzaghi schiera Parolo nella linea dei difensori, con la consegna di badare all’ottimo Zaccagni, preferisce Marusic a Fares e inserisce in mediana Akpa Akpro al posto di Luis Alberto, non convocato. La Lazio inizia bene, sospinta dalla vivacità di Akpa Akpro, crea qualche pericolo in avvio e va vicina al gol con Immobile, che non riesce a segnare su una palla recuperata dall’ivoriano.
Esce Acerbi, a metà primo tempo, per un problema muscolare, il Verona imbriglia il vivace Akpa e la partita scivola via, noiosa, con le due squadre che si contrastano senza creare niente di pericoloso in avanti. Allo scadere del tempo la frittata laziale: un tiro di Di Marco, diretto fuori, viene intercettato da Lazzari, novello Niccolai, che si trova sulla traiettoria e tenta di intervenire per alzare, invano, sulla traversa, segnando il più goffo degli autogol. Non è la prima volta che la Lazio subisce gol un attimo prima dell’intervallo: nella circostanza prova a concedere il bis, con un contropiede di Zaccagni neutralizzato in uscita da Reina. Sull’azione dell’autogol la Lazio ha lamentato un fallo su Milinkovic, in avvio d’azione, non ravvisato dall’arbitro.
I biancocelesti rientrano dagli spogliatoi intenzionati a recuperare, fanno tutto bene, premono, si salvano con Hoedt da un contropiede veronese e trovano il pareggio con un gol bellissimo di Caicedo, che infila nell’angolo basso la sua classica, fulminea girata di sinistro. La Lazio sembra poter provare a passare ancora, spinge e prova, ma torna in svantaggio al 22′ del secondo tempo: un errore imperdonabile di Radu, che lancia Tameze a tu per tu con Reina.
Per la Lazio si fa dura, con la fatica di coppa nelle gambe e nella testa. Il Verona contiene, perde anche un po’ di tempo, complice un arbitro permissivo, che spezzetta continuamente il gioco e distribuisce ammonizioni a pioggia, in un match correttissimo. Inzaghi prova a cambiare qualcosa inserendo nel finale Fares e Pereira, prima ancora Correa ed Escalante avevano rilevato Leiva e Caicedo, mentre Hoedt aveva rilevato Acerbi nel primo tempo.
Finisce con il serrate laziale e con due grandi interventi di Silvestri su colpo di testa di Milinkovic-Savic e su Pereira, con una miracolosa,, quasi innaturale respinta di piede. La Lazio può prendersela con sé stessa: non avrebbe perso senza quegli errori assurdi, e per quanto si tratti di disattenzioni individuali l’evidenza dei numeri inchioda i ragazzi di Inzaghi: 5 punti in 6 gare casalinghe, una difesa-colabrodo, la stanchezza nelle gambe, il treno della classifica che si allontana, le tre gare che da qui a Natale diranno qualcosa sul futuro della squadra, in una stagione durissima.
Passata la sbornia europea, torna il campionato, e non c’è, come al solito, il tempo di preparare la partita al meglio: neanche 72 ore e di nuovo in campo. Nell’Olimpico freddo e deserto la Lazio affronterà il Verona. Un impegno alla portata dei biancocelesti, che presenta, però, molte insidie.
La classifica parla chiaro: il Verona segue la Lazio a un punto, ha la miglior difesa del campionato e ha già vinto nettamente a Bergamo, imponendo il pareggio al Milan, alla Juventus e alla Roma, nella gara poi vinta a tavolino per 3-0. I veneti non hanno minimamente risentito delle cessioni eccellenti, hanno salutato Kumbulla, Amrabat, Rahmani, Pessina e Verre e hanno tranquillamente continuato a macinare risultati. Juric sta facendo un gran lavoro.
Inzaghi, insomma, avrà le sue belle difficoltà. La squadra deve recuperare energie fisiche e nervose dopo il tour de force europeo. Gioca ogni tre giorni da settembre e ha superato gli scogli del Covid, che ha falcidiato la rosa. Rispetto alla gara col Bruges dovrebbero tornare Radu e Fares, 4 anni a Verona, che è l’ex di turno (per il Verona c’è Faraoni, cresciuto nella Lazio). L’algerino cercherà di mettersi in mostra dopo un inizio di stagione con qualche difficoltà d’inserimento. Assente Patric, Luis Alberto dovrebbe partire dalla panchina e lasciare il posto ad Akpa Akpro (o, perché no, al talentuoso Pereira). Davanti, affaticati Immobile e Correa, toccherà a Caicedo affiancare Ciro dall’inizio, stante l’indisponibilità di Muriqi.
Occhio alla rivelazione Zaccagni, al portiere Silvestri, a Faraoni, a Barak: buone individualità desiderose di mettersi in mostra. Il Verona ha perso in trasferta soltanto a Parma, alla terza giornata. E’ in serie positiva esterna da tre turni (Juventus, Milan e Atalanta…) e ha impegnato severamente il Sassuolo-rivelazione, uscendo battuto in casa per 2-0 dopo aver colpito 4 pali. Una squadra che segna poco e subisce meno. Per la Lazio un impegno duro, che dirà qualcosa in più sulla possibilità di conciliare il cammino di coppa con un campionato incerto e pieno di insidie. Arbitrerà Abisso, con Mazzoleni al VAR.
Se esiste una squadra di calcio che ha stimolato la fantasia di scrittori con la esse maiuscola, raccontatori della domenica, penne da forum e da social, anchormen televisivi e radiofonici e bloggers pallonari è la Lazio di Maestrelli e Chinaglia. Che vinse il suo primo scudetto, nel 1974, in un tempo in cui il campionato di calcio non era soltanto una riserva juventina, ma si regalava avventure alternative, premiando occasionalmente altre squadre, oltre alle solite rivali milanesi: la Fiorentina, il Cagliari, il Torino non più Grande, e poi la Roma, il Verona, il Napoli, la Sampdoria.
Una storia che somiglia a un romanzo: uno spogliatoio spaccato in due clan e una serie di episodi, raccontati fino allo sfinimento, che vedono i contendenti darsele di santa ragione in allenamento. Per poi riunirsi, la domenica, sotto la guida di Maestrelli, il tecnico gentile, e strapazzare le avversarie col gioco totale e con l’energia incontenibile del (super)eroe, Giorgio Chinaglia, per gli amici Long John o Giorgione, per gli avversari il Gobbo.
Angelo Carotenuto aggiunge il suo contributo all’epopea con “Le canaglie” (Sellerio, 354 pagine, 16 euro). Scandito dal passo degli eventi che, dal 1971 al 1977, portarono la squadra biancoceleste a risalire da una brutta retrocessione fino a raggiungere il massimo traguardo, per ripiegarsi, poi, sotto il peso delle tragedie che la colpirono: la morte di Maestrelli e di Re Cecconi e la fuga in America di Chinaglia, primo episodio di un’incessante alternanza di ritorni e partenze, ogni volta più tristi e ingloriose.
Carotenuto usa la voce narrante di Marcello Traseticcio, fotografo/paparazzo che viene dal cinema e opera nella redazione di un quotidiano romano. Una figura ispirata a Marcello Geppetti, fotografo dell’epoca, autore della foto di copertina del libro, che raffigura Chinaglia che rimira il suo winchester, sulla porta dello spogliatoio di Tor di Quinto, scenario delle folli avventure narrate nel libro.
Il quotidiano somiglia al coloratissimo Momento Sera, quotidiano romano dell’epoca. Lo compravamo tutti i lunedì, noi malati di calcio, per ritagliare le foto a colori dei nostri idoli, chi biancoceleste, chi giallorosso.
Traseticcio non ama il calcio ma si appassiona alla banda laziale. Ne racconta le risse, le spacconate, le avventure erotiche, gli eccessi d’ogni sorta, l’amore per le armi, il nonnismo, la ribalderia, ma anche la capacità di lottare per un obiettivo, uniti/domati dalle qualità umane di Maestrelli.
Un io narrante che parla una lingua tutta sua: un romanesco particolare, che entra e esce, nel testo, usando espressioni qualche volta arcaiche, altre volte oscure, che riportano alla memoria quelle figure “vissute” che a Roma sembrano oggi sparite.
Il filo del racconto della Lazio di quegli anni si snoda in una spirale parallela a quello degli eventi più importanti dell’epoca: gli scontri di piazza, la repressione della polizia e il terrorismo, la politicizzazione della lotta, la violenza generalizzata, la criminalità dilagante.
Un campionario esplorato anche dal cinema, in cui stride la drammaticità degli eventi di cronaca col quotidiano spericolato e un po’ viziato dei calciatori professionisti, non ancora ricchi a milioni ma già famosi e in grado di fare capricci degni delle rockstar. Almeno Chinaglia.
Il libro scorre via leggero, non è privo di momenti di scrittura vera, soprattutto quando Traseticcio si abbandona al racconto della magia della fotografia, mentre subisce gli eventi che la vita gli infligge. Tragici come quello che porta alla morte di Re Cecconi, talmente assurda che c’è chi ancora non se ne capacita.
Un libro da leggere, insomma: chi tifa Lazio criticherà qualche passaggio ma si consolerà col dolce ricordo della prima grande vittoria, della figura di Maestrelli e di quella, bella e sincera, di Re Cecconi. Chi non è laziale troverà un racconto ricco di sfumature, che demolirà qualche luogo comune sul calcio.
O perlomeno alimenterà la nostalgia per un mondo del pallone che non c’è più. Fagocitato dall’odierno showbiz, coperto di milioni dalla televisione e dagli sponsor, con le sue primedonne irraggiungibili e la noia mortale dei verdetti del campo, sempre uguali e impossibili da sovvertire, che spingono ad aggrapparsi ad un’Atalanta qualsiasi, pur di respirare una boccata d’aria nuova. Aspettando un nuovo Maestrelli.
(Kulturjam, 25/10/2020)
Ci hanno raccontato un milione di volte quella squadra per i vizi e le pazzie, senza raccontarci molto di come giocava a pallone. Una storia che ritorna, perché è fatta apposta per essere raccontata, tra cronaca e leggenda, e sarebbe un’occasione, ogni volta più matura, per accendere i riflettori del cinema o della tv, se solo non si trattasse della Lazio, sempre invisa a certa stampa e oggetto di gelosie e sottovalutazioni continue, nel patetico tentativo di far rifulgere altre stelle poco luminose.
Il racconto di Carotenuto è piacevole e merita la lettura, soprattutto per come tratteggia la figura di Maestrelli, “disertore di conflitti”, e Re Cecconi. La retorica delle pistole e delle bottigliate, dei phon contesi e dei capricci infantili non può offuscare però la memoria di una squadra che ha fatto la storia del calcio italiano, né diventare prevalente sul fatto tecnico, anche se invertire la polarità del racconto farebbe perdere gusto alla narrazione, che esce dalla piatta cronaca calcistica riferita a eventi ormai lontani nel tempo.
Si è fatta la storia, ma si guarda al domani, senza per questo dimenticare. Qui preferiamo la Lazio a colori, quella che verrà.
Adesso viene il bello. Lunedì 14 dicembre, a mezzogiorno, sapremo chi ci toccherà affrontare negli ottavi di finale. Sono sei nomi che mettono paura: Chelsea, Liverpool, Paris San Germain, Manchester City, Real Madrid, Bayern Monaco, in rigoroso ordine crescente di ranking UEFA.
Il Chelsea di Blue is the colour l’abbiamo affrontato ai tempi di Cragnotti e non rappresenta una novità. Una vittoria storica a Stamford Bridge, in rimonta con gol di Simone Inzaghi e Sinisa Mihajlovic, ci regalò i quarti di finale di Champions League nel 2000. Resta l’unica, perché nei due match casalinghi la Lazio ha ottenuto uno 0-0 e un brutto 0-4, nel 2003, con Mancini in panchina ed Hernan Crespo in gol da ex. Un classico. Persa (1-2) anche l’altra battaglia londinese.
Del Liverpool i tifosi laziali serbano ricordi piacevoli legati alle numerose sconfitte inflitte alla Roma. La Lazio ha affrontato il Liverpool in due amichevoli estive, entrambe disputate ad Anfield Road: una vinta e una persa, stesso risultato di 1-0, la vittoria firmata da Cesar, nell’estate 2002, Banda Mancini in rodaggio.
Col Manchester City la Lazio condivide i colori sociali. Unico confronto un’amichevole estiva, disputata all’Etihad Stadium e persa (3-1) nell’estate 2004, in una delle primissime uscite della Lazio lotitiana. Con i Citizens giocava Anelka, protagonista di un’infuocata telenovela estiva di mercato ai tempi di Cragnotti. Al tempo in cui la Umbro era sponsor tecnico della Lazio leggenda vuole che il City abbia giocato una gara di campionato con le maglie laziali sponsorizzate Banca di Roma, per un disguido nelle consegne.
Mai affrontato il Paris Saint-Germain.
Molto combattuti i precedenti col Real Madrid, affrontato nella Champions 2000-2001, con sconfitta rocambolesca a Madrid (3-2) e pareggio all’Olimpico (2-2), in una serata magica di Castroman. Nel 2007 la Lazio di Delio Rossi giocò una grande gara all’Olimpico, bissando il 2-2, ma perse nettamente al Bernabeu (3-1). Due volte la Lazio ha prevalso ai rigori in altrettante amichevoli estive disputate in Spagna, contro una sconfitta, sempre ai rigori, patita in casa.
I campioni in carica del Bayern, infine, furono invitati per il gran gala dello scudetto 1974: esclusa dalle Coppe Europee per gli incidenti seguiti alla gara di Coppa UEFA contro l’Ipswich, la Lazio si consolò con l’amichevole di lusso giocata contro i bavaresi, anche allora freschi di conquista del massimo trofeo europeo e, molti di loro, campioni del mondo con la nazionale che nel ’74 batté la Grande Olanda. Finì 1-1, con Franzoni a pareggiare, nel finale, il gol iniziale di Schwarzenbeck, regalandosi una serata da raccontare ai nipoti.
Comunque vada sarà durissima, ma la Lazio si è guadagnata sul campo questo onore. (dati da Laziowiki e Laziopage)
Una qualificazione storica raggiunta con un finale da brivido, quando tutto s’era messo per il verso giusto. La sindrome di Salisburgo che affiora, e il braccino che attanaglia i ragazzi di Inzaghi dopo un ottimo primo tempo. Chiuso in vantaggio e con l’avversario in inferiorità numerica, prima di un secondo tempo che, sbagliato il possibile quando si trattava di chiudere la partita, diventa una specie di incubo, col regalo del 2-2, frutto dell’arretramento della squadra che fa diventare pericoloso un Bruges che va avanti con la forza della disperazione e sfiora il colpo con una clamorosa traversa a tempo scaduto.
Sarebbe stata una beffa e un’ingiustizia, perché la Lazio ha strameritato la qualificazione con un girone esemplare, che chiude imbattuta pur avendo affrontato due gare in uno stato che definire d’emergenza è dire poco. La prestazione di Dortmund continua nel primo quarto d’ora di stasera: folate offensive irresistibili, aggressione sistematica dell’avversario, circolazione di palla alla velocità della luce e una serie di situazioni pericolose che culminano col gol di Correa, grande protagonista dell’inizio della partita.
Tre minuti dopo, il primo regalo: Reina non trattiene un tiro secco di Lang, libero di calciare, e consente la ribattuta in rete di Vormer, anche lui indisturbato. La Lazio accusa il colpo, si smonta per qualche minuto, poi riparte lancia in resta e trova un rigore netto per fallo di Mata su Immobile, che Ciro trasforma con la solita freddezza.
La partita si mette in discesa, poi, con l’espulsione di Sobol, all’ennesimo intervento duro su Lazzari. La Lazio sembra padrona della situazione, ma si complica la vita fallendo diverse occasioni per segnare il terzo gol, con Correa e con Immobile, e progressivamente scivola indietro, sul campo, favorendo il forcing disordinato e rabbioso del Bruges.
I biancocelesti hanno paura di vincere e si consegnano ai belgi, regalando loro il 2-2, segnato da Vanaken di testa a un quarto d’ora dalla fine, e rischiando l’osso del collo nel convulso finale che vede la clamorosa traversa colpita da De Ketelaere con una bordata a botta sicura.
Tutto è bene quel che finisce bene, comunque, e dopo 19 anni la Lazio approda alla seconda fase della Champions League, consapevole dei propri limiti: una difesa che subisce troppi gol, un attacco che spreca molto, nonostante un implacabile Immobile, in gol per la nona gara consecutiva, e la paura di vincere che talvolta affiora e rovina quanto di buono si è saputo costruire.
Una vigilia passata quasi sotto silenzio, complice il calendario serrato e la nostra tendenza a parlarci addosso sui social e in giro per il web. Eppure Lazio-Bruges è la porta per arrivare alla seconda fase della Champions League, dalla quale la Lazio manca dal 2001. Allora fu un secondo girone, oggi sarebbe l’eliminazione diretta, ottavo di finale, vicino al limite toccato nell’anno dell’ultimo scudetto, con l’eliminazione ai quarti figlia di una sciagurata serata al Mestalla di Valencia, che ci impedì di arrivare in fondo alla competizione, con una squadra in grado di trionfare.
Oggi il valore della Lazio nel contesto internazionale non è così alto, ma si tratterebbe, comunque, del punto più alto raggiunto nel terzo millennio e nell’era lotitiana. Col Bruges basterà un pareggio, ma si spera tutti in una vittoria che porti prestigio, soldi, punteggio per il ranking europeo e un grande gala negli ottavi di finale. Senza pubblico, ma con la voglia di misurarsi in una competizione esaltante.
Se si dovesse perdere si rimarrà in Europa, ritentando la sorte in Europa League. Un torneo di consolazione, se si sta nella competizione più importante. L’obiettivo primario però è rimanere in Champions League: in fondo alla stagione, restando tra le prime quattro; domani, centrando una qualificazione storica.
Una vecchia passione dei laziali è quella di cercare un paio di capri espiatori a cui dare addosso, durante l’anno, quando le cose non vanno bene. L’arrivo dell’ottimo Reina, portiere di curriculum e carisma, ha messo in discussione il ruolo del portiere albanese, nonostante Thomas sia stato protagonista in occasione dei trofei conquistati negli ultimi anni e abbia già giocato 150 volte (148, per l’esattezza) con la maglia della Lazio, a soli 25 anni. Strakosha si è dovuto fermare a causa del Covid e attraversa un periodo un po’ sfortunato, ma lavora per rientrare, sapendo di aver lasciato i guanti in ottime mani. Speriamo si riprenda presto e che gli ipercritici gli diano atto di quanto già fatto e di quanto sarà in grado ancora di fare. Resta uno dei migliori portieri del campionato e tornerà a dimostrarlo.
Con lo Spezia si doveva vincere ed è andata bene. Troppa differenza in campo? Forse, ma la Lazio rientrata giovedì dalla Germania ha avuto un giorno per preparare la partita, con in testa anche la Coppa. Pretendere di più non era il caso. Un Ciro sempre scintillante e un SMS letale hanno risolto il problema, per il resto bene Reina, difesa come sempre perforata, con Acerbi ancora una volta beffato dal suo uomo. Due gol annullati per questione di centimetri a Caicedo e a Pereira: oggi, a differenza delle altre volte, in avanti eravamo cinici. Testa al Bruges.