Disastro a Bologna

Che quella di Bologna fosse una gara delicata s’era detto in tutte le salse, dopo la botta subita col Bayern. La Lazio ha anche cominciato bene, fino al rigore: un grazioso regalo di Dominguez, che stende Correa in modo insensato, un palmo dentro l’area, con due compagni intorno a sbarrare il passo all’argentino. Immobile va sul dischetto e calcia: il tiro non è forte né angolato e Skorupski si tuffa e lo abbranca in presa facile e sicura.

Il tempo di abbassare lo sguardo e Ciro assiste da lontano alla bella azione che porta il Bologna a segnare: Orsolini tira secco su cross proveniente da destra, Reina para ma respinge corto, tentando di buttarla di lato, Mbaye è più pronto di Lazzari e deposita in rete vanificando il tentativo di chiusura dello stesso Reina. E qui cominciano i guai, come se i due eventi avversi in un minuto non fossero già pesanti abbastanza.

La Lazio si disunisce, non trova le forze per reagire e subisce l’entusiasmo del Bologna, che crea alcune situazioni favorevoli con Barrow, che va vicino al raddoppio, contenuto anche da Reina. Altro snodo della partita al 31′: proprio il portiere biancoceleste fa partire un contropiede micidiale, servendo in verticale Correa, che vola verso la difesa bolognese, in superiorità numerica, con Lazzari a destra e Luis Alberto a sinistra che chiedono palla, pronti a concludere. L’argentino è indeciso, temporeggia, arriva al limite dell’area e cerca un passaggio lento e prevedibile per Luis Alberto, facile preda della difesa.

La Lazio rumina gioco ma non tira, o se lo fa è innocua, spesso fuori misura, con conclusioni forzate e velleitarie. Il Bologna gioca bene anche se non sfrutta i molti errori in appoggio della Lazio, sempre in affanno se pressata quando fa partire l’azione.

A inizio ripresa, con Lulic in campo per l’infortunato Lazzari, i biancocelesti sembrano entrati con un piglio diverso, ma la loro spinta dura poco e non produce grandi opportunità, solo tiri ribattuti e manovre che s’infrangono in una zona centrale affollata.
La Lazio mostra evidenti limiti, non riesce a variare il tema di gioco, s’intestardisce a voler passare dove non c’è spazio. Poi capitola di nuovo, grazie a una prodezza di Sansone, bellissima esecuzione al volo su cross di Barrow.

Inzaghi si decide a cambiare, toglie Leiva, Immobile e Patric e inserisce Muriqi, Pereira e Cataldi. Curioso che sullo 0-2 ci si affidi a uomini che il campo lo vedono ben di rado: gli si lascia modo di operare a gara compromessa, non certo facilitandone l’inserimento.
La Lazio prova, ma non cava un ragno dal buco. Trova nel finale un paio di buone situazioni che fanno fare bella figura a Skorupski e china il capo, sconfitta, al fischio finale.

Poi incassa le rampogne del mister, in sala stampa: si aspettava una reazione migliore, perché le grandi squadre, se sono tali, devono saper reagire alle avversità. Qualcuno ci legge uno smarcamento da responsabilità che toccano pure al tecnico: sarebbe lungo elencarle tutte, ma è chiaro che la squadra segna con difficoltà e subisce con facilità, in questo frangente.

Se sia la testa leggera della sbornia di coppa non è dato sapere, ma Bologna arriva dopo sconfitte analoghe subite con Sampdoria, Verona e Udinese. Squadre di piccolo/medio cabotaggio in grado di opporsi al gioco della Lazio mettendone a nudo limiti precisi, a questo punto, visto il ripetersi della circostanza.

Proprio la differenza di potenziale rispetto a certi avversari sembra suggerire che non basta puntare il dito sulle carenze della rosa, a questo punto, per spiegare certi rovesci. Una squadra corta di alternative in certi reparti e lunga in altri, con gente che non esce mai e gente che vede il campo solo in situazioni compromesse o di minore impegno: la sensazione, avvalorata da certe dichiarazioni di Lulic ai microfoni della tv, è che il tecnico si fidi solo di alcuni, e che offra agli altri poche opportunità.

Anche a costo di schierare, come oggi, un Immobile che fa fatica per problemi fisici, o un Leiva che non sembra più sostenere l’intensità di certi impegni. Si dice che dopo la Champions la squadra accusi lo sforzo. Ma se c’era la fatica del Bayern nelle gambe perché schierare in campo la stessa formazione? Domande senza risposta, mentre il tempo passa, il rinnovo di Inzaghi resta nelle intenzioni, la classifica peggiora vanificando la rimonta di inizio anno. Restano 14 partite per centrare un obiettivo difficile. Se la Lazio vista oggi non è quella che ci aspetta da qui in poi.

 

Il Bayern boccia la Lazio

Doveva essere una partita da giocare con la massima concentrazione, cercando di non commettere errori: la Lazio ha confezionato in proprio tre dei quattro gol del Bayern e rimedia una sonora lezione che la ridimensiona, inadatta al confronto con un avversario di levatura assoluta.

Difficile capire se si sia trattato di un approccio sbagliato, dell’emozione per un confronto così importante, della pressione insostenibile dell’avversario o che, ma è evidente che i biancocelesti hanno subito in ogni reparto, soprattutto nel primo tempo.

Non hanno saputo misurarsi col proverbiale pressing alto dei bavaresi, per evidenti limiti tecnici dei difensori, ma hanno faticato anche quando sono riusciti, bene o male, a superare la prima resistenza tedesca, non riuscendo a costruire gioco, facendosi trovare spesso in fuori gioco, concludendo in modo poco convinto quando si è presentata l’occasione.

Il Bayern ha sfruttato gli errori della Lazio, facendo in modo di provocarli. La Lazio ci ha messo, però, del suo, e rimane il rimpianto, oltre che per il rigore non concesso per un fallo di Boateng su Milinkovic, sullo 0-1, anche per non aver giocato con il giusto piglio la partita. Gettare la croce sui singoli, Musacchio e Patric su tutti, non basta.

La discreta prestazione nella ripresa mitiga solo in parte la sconfitta, che è una bocciatura solenne, non riparabile al ritorno, per le proporzioni. S’imporrà, però, una prestazione d’orgoglio. Doveva essere una serata di festa e un’occasione di crescita: da festeggiare c’è poco, si potrà imparare dai grossolani errori fatti, se non altro cercando di non ripeterli a Monaco.

Una sconfitta che va dimenticata in fretta, per ripartire di corsa in campionato. Perché per tornare sul palcoscenico della Champions, l’anno prossimo, ci vorrà un’impresa, nella speranza di mostrarsi all’altezza della competizione. Positivi, comunque, Marusic, Lazzari, Correa (bel gol), qualcosa di Milinkovic e di Luis Alberto, poco Immobile, Acerbi affannato, Leiva in chiara difficoltà, Hoedt, Patric e Musacchio non all’altezza dell’impegno, l’argentino forse non ancora in condizione, mentre Lulic comincia a entrare in forma. Bene Reina, anche lui però con molti errori in disimpegno, entrato bene anche Escalante.
Passare oltre.

Lazio-Bayern 1-4 (0-3)

LAZIO (3-5-2): Reina; Patric (53′ Hoedt), Acerbi, Musacchio (30′ Lulic); Lazzari, Milinkovic-Savic (81′ Cataldi), Leiva (53′ Escalante), Luis Alberto (81′ Akpa Akpro), Marusic; Correa, Immobile. A disposizione: Alia, Caicedo, Fares, Muriqi, Parolo, Pereira, Strakosha. Allenatore: Inzaghi.

BAYERN MONACO (4-2-3-1): Neuer; Süle, Boateng, Alaba, Davies; Kimmich, Goretzka (63′ Martinez); Sané (89′ Sarr), Musiala (89′ Choupo-Moting), Coman (75′ Hernandez); Lewandowski. A disposizione: Hoffmann, Roca. Allenatore: Flick.

ARBITRO: Grinfeld (Israele)

MARCATORI: 9′ Lewandowski (B), 24′ Musiala (B), 42′ Sané (B), 47′ aut. Acerbi (B), 48′ Correa (L)

NOTE: Ammoniti Luis Alberto, Leiva, Correa, Marusic, Escalante (L); Kimmich, Coman (B)

 

L’attesa infinita

Certe giornate non passano mai. Anche se quella di oggi non è di quelle giornate definitive, quelle che non ci dormi la notte prima, che stai tutto il giorno con la testa lì, che ti senti nelle ossa le cose che stanno per capitare.
Non si può mica spiegare a chi non è tifoso. Ma l’importanza dell’evento mica la sentono tutti: per esempio certa stampa che dovrebbe essere specializzata, quella con la carta rosa che una volta era la bibbia degli sportivi, nell’edizione web scrolla scrolla la partita tra Lazio e Bayern viene dopo chiappe e mutande di improbabili fidanzate di misconosciuti campioni. Va così, c’è chi fa notizia e chi no, e poi c’è chi viene sbattuto in prima pagina solo quando c’è da rifilargli qualche palata di fango, meglio se nel quadro di qualche giochino di potere.
La notizia di oggi, comunque, stando al prato verde, siamo noi.
Viene da chiedersi che stadio sarebbe, se ci si potesse accedere. E anche quanti soldi abbiamo perso per colpa del virus, giocando una Champions senza pubblico, oltre al campionato. Anche lì, c’è chi il problema se lo pone e lo risolve e chi no: l’Inter fugge in campionato e rinvia a dopo lo scudetto gli stipendi di novembre e dicembre, quando la regola vorrebbe che chi non rispetta i parametri economici/finanziari paga pegno sotto forma di punti di penalizzazione. Regola derogata ad uso e consumo dei soli interisti, e mi ricordo di quando il genio di Elio cantava di un campionato falsato.
Ognuno se la canta e se la suona come vuole, perciò. Stasera si gioca, la Lazio si misura con la squadra più forte del mondo, quella campione di tutto, quella che ha segnato 8 gol in una partita al Barcellona. L’orologio a guardarlo non si muove, è come l’acqua nella pentola che non bolle mai. Ci aspetta una serata di gala: che peccato non poter essere allo stadio.

 

Contro il Bayern per imparare a vincere

30 Campionati tedeschi
20 Coppe di Germania
8 Supercoppe di Germania
6 Coppe di Lega tedesca
6 Coppe dei Campioni/Champions League
1 Coppa delle Coppe
1 Coppa UEFA
2 Supercoppe europee
2 Mondiali per club
2 Coppe Intercontinentali

Totale: 78 (settantotto) trofei.

Questo è l’avversario che affronterà la Lazio nella sfida degli ottavi di finale di Champions League. Nel ciclo attuale: campioni di Germania dal 2012/2013 a oggi, senza interruzione; detentori della Champions League, del Mondiale per club e della Supercoppa Europea.

Negli ultimi anni si è sempre detto che la qualificazione alla Champions League vale meno di un trofeo, perché non la si può esporre in bacheca come una coppa scintillante.
Però è vero che certe occasioni abituano ai confronti di alto livello, necessari, poi, a trovare le risorse per mettere nel mirino un grande obiettivo, che può essere uno scudetto o una partecipazione importante a una Champions League.

Per intenderci, almeno un quarto di finale, traguardo che raggiunse la Lazio di Eriksson, allora accreditata tra le favorite per vincere la Coppa, che incappò in una serata storta al Mestalla di Valencia e finì per uscire dalla competizione con grandi rimpianti.

Era un momento in cui le squadre italiane arrivavano con facilità a giocarsi le maggiori competizioni europee. Non succede più da anni, visto che i superclub ricchissimi, quelli tradizionali e quelli nuovi,  hanno monopolizzato i grandi tornei europei, ma spesso è capitato di vedere nelle fasi finali del torneo squadre di cilindrata simile a quella della Lazio.

Giocare questa gara col Bayern, insomma, va al di là della competizione per la qualificazione: il pronostico è chiuso, ma proprio per questo la Lazio potrà giocare senza particolare tensione, sapendo che tutto quello che verrà di buono sarà oro colato, e che l’esperienza fatta sarà già un arricchimento fondamentale per il curriculum di tutti quelli che saranno in campo.

La sconfitta in campionato con l’Eintracht dice che i bavaresi sono esseri umani.
In Champions forse giocheranno con più forza e concentrazione, ma sono i primi a esprimere rispetto per le qualità della Lazio, come ha fatto il solito Miro Klose, campione di fair play oltre che fuoriclasse in campo.

Proprio l’aver avuto Klose in biancoceleste dimostra che la Lazio può ambire a stare su certi palcoscenici, se non per ricchezza o per blasone internazionale almeno per l’ottima gestione sportiva degli ultimi trent’anni. Una squadra ormai abituata all’Europa, che punta a piantare le tende nell’Olimpo della Champions League.
Lazio-Bayern, perciò, deve essere un principio, un passaggio di avvicinamento, un capitolo di una storia ancora tutta da scrivere.

 

Tre punti (quasi) facili con la Sampdoria

Un pomeriggio tutto sommato tranquillo per la Lazio contro la Sampdoria. Partita vinta col minimo sforzo, grazie a un bel gol di Luis Alberto, che gioca a fare l’uomo ragno e si rabbuia, al solito, quando viene sostituito. In un clima da assaggio di primavera la Lazio parte piano, con tocchi leziosi e torpori, prende atto della poca voglia dell’avversario e trova il gol quando decide di affondare il colpo, poi controlla con qualche sbadiglio la reazione doriana, poco convinta nell’atteggiamento, anche se alcuni protagonisti in campo potrebbero fare danni. Più Quagliarella di Keita, spento dopo i saluti a tutti del pregara.

La partita scivola via sonnacchiosa, svegliandosi un poco nel secondo tempo, con le sostituzioni di Ranieri che provano a cambiare lo spartito, senza produrre grandi sussulti.
Mancato il raddoppio in diverse occasioni, clamorose quella di Muriqi e quella di Milinkovic-Savic, la Lazio soffre per qualche mischia nel finale ma porta a casa tre punti importanti e può concentrarsi sulla serata di gala di martedì, quando affronterà un Bayern sconfitto in Bundesliga a Francoforte. Segno che anche i tedeschi hanno la testa alla Coppa, mentre devono gestire, non senza polemiche, una mezza emergenza da Covid che li sta esponendo a censure in patria per comportamenti non pienamente rispettosi delle regole. Una storia già sentita.

Biancocelesti tutti da valutare positivamente, considerate le circostanze. Un Immobile un po’ al di sotto delle sue possibilità nel giorno del suo compleanno. Buona qualità per Correa e Milinkovic-Savic, decisivo Luis Alberto, molto positivi Marusic e Musacchio, entrano bene tutti i sostituti, in una giornata che conforta la squadra all’indomani della battuta d’arresto di Milano. La lotta per la zona Champions continua, ora si tratta di confermare di esserne degni con una bella prova contro i supercampioni bavaresi.

Lazio-Sampdoria 1-0 (1-0)

LAZIO (3-5-2): Reina; Patric, Acerbi, Musacchio; Marusic, Milinkovic, Leiva (63′ Escalante), Luis Alberto (63′ Muriqi), Lulic (56′ Fares); Correa (56′ Akpa Akpro), Immobile (86′ Caicedo). A disposizione: Alia, Pereira, Armini, Parolo, Cataldi. Allenatore: Inzaghi

SAMPDORIA (3-4-1-2): Audero; Ferrari, Yoshida (46′ Bereszynski), Colley; Candreva, Silva, Ekdal, Augello; Ramirez (46′ Jankto); Quagliarella, Keita (67′ Damsgaard). A disposizione: Ravaglia, Letica, Verre, Torregrossa, Askildsen, Regini, Tonelli, Gabbiadini, Léris. Allenatore: Ranieri

ARBITRO: Massa di Imperia.

MARCATORI: 24′ Luis Alberto (L)

NOTE: Ammoniti: Lulic, Marusic, Escalante, Patric (L); Silva, Ekdal, Colley (S)

Keita e Hermanos: una bella storia di solidarietà

L’abbiamo visto crescere, abbiamo sognato di vederlo diventare un campione, lo abbiamo salutato infastiditi dalla sua voglia di andare altrove, per una vicenda contrattuale complicata e infinita. A 25 anni Keita Balde Diao è ancora in tempo per mantenere le promesse e a Genova sta conquistando la fiducia del tecnico e l’apprezzamento dei tifosi.

Torna a Roma nella settimana in cui la stampa spagnola gli dedica spazio: è imminente la prima televisiva del documentario Hermanos, che racconta la storia del suo intervento a sostegno dei 200 braccianti e raccoglitori di frutta senegalesi rimasti senza casa a Lleida, in Catalogna.

Keita, al tempo in forza al Monaco, è intervenuto in aiuto dei braccianti, inviando cibo, vestiti e denaro. Tutto è avvenuto grazie ai social: dopo aver guardato un video realizzato dal regista Paco Leon insieme a Serigne Mamadou, che denunciava le condizioni in cui vivevano i lavoratori africani, Keita ha preso contatto con Leon e Mamadou, e si è attivato  per aiutare, in tempi di lockdown, con la sua iniziativa di solidarietà, che risale al periodo di marzo/aprile del 2020.

Una storia che parla di razzismo: nonostante Keita si offrisse di pagare le spese molti alberghi  della zona rifiutavano di ospitare i senegalesi, costretti a dormire per strada e a vivere in condizioni disumane.

Nella conferenza stampa di presentazione del video Keita ha raccontato la storia, parlando di razzismo, e ha dichiarato: “C’è qualcosa che non sta andando per il verso giusto. A dire la verità non ne ero cosciente fino a quel momento. Dopo aver visto quel video ho capito. Vivo da molti anni fuori dalla Spagna e non sapevo che le cose andassero così. Offrivamo aiuto e ci siamo scontrati con le pietre. Il problema principale era trovare un posto dove stare e dove dormire, non riuscivamo a trovare un posto. Che ti prendano a sassate quando cerchi di aiutare ti dà da pensare su come stiamo in questo momento. Sono un privilegiato, chi avrebbe mai pensato che avrei potuto fare questa vita? Quando vedo qualcuno triste nello spogliatoio per una sciocchezza penso sempre che i problemi veri sono altri. Viviamo in un mondo dove ci sono più cose brutte che belle, ma non bisogna perdere l’ottimismo. Si tratta di seguire i propri sogni: ho fatto questo a Lleida perché spero che domani lo faccia anche qualcun altro”.

Keita è cresciuto, campione o no, è un uomo che merita tutta la stima del mondo.
Sarà un onore ritrovarlo in campo.

La Champions League dei laziali

La Champions League di quest’anno è piena come non mai di vecchie conoscenze laziali, sparse in ben 6 squadre ancora in corsa negli ottavi di finale. Con la Lazio fanno 7.

Uno di loro l’ha vinta sul campo, privilegio toccato anche a Tassotti (tre volte), Nesta (due volte), Oddo e Favalli  col Milan, a Michael Laudrup col Barcellona e a Stankovic e Pandev con l’Inter. Si tratta di Karl-Heinz Riedle, oggi dirigente del Borussia Dortmund, che mise a segno una fantastica doppietta nella finale vinta (1997) contro la Juve, in cui giocava un ex laziale (Boksic, già vincitore della Coppa a Marsiglia) e due futuri biancocelesti, Jugovic, che già aveva vinto la Coppa con la Stella Rossa, insieme a Mihajlovic, e Vieri.

In parecchi ci sono andati vicini, perdendo in finale. Il più titolato è il Cholo: Simeone, un palmares spaventoso di trofei vinti, ha perso da mister dell’Atletico due volte in finale, sempre contro il Real Madrid. Quest’anno ci riprova, sempre alla guida dei Colchoneros. Anche Miro Klose ha perso la sua chance, finalista battuto dall’Inter di Mourinho. Oggi è il vice allenatore del Bayern che si accinge ad affrontare la Lazio. La Champions persa nella Samp è rimasta, per Roberto Mancini, il massimo rimpianto di una carriera ricca di soddisfazioni. Con lui in campo, quel giorno, anche Attilio Lombardo e Renato Buso. Mancio e Lombardo saranno laziali, Buso era già un ex. Flavio Roma, campione d’Italia primavera con nesta e Di Vaio, perse la finale difendendo la porta del Monaco contro il Porto di José Mourinho.

Ieri sera Sergio Conceiçao ha guidato proprio il Porto alla vittoria contro la Juve. In panchina sedeva un malinconico Felipe Anderson, che vede il campo di rado. Nella Juve sconfitta, oltre a Nedved, Vicepresidente, siede in panchina Roberto Baronio, talento sempre in procinto di sbocciare e alla fine appassito in molte Lazio del terzo millennio. Fa l’assistente di Pirlo.

Un altro, ricordato per un episodio risalente al 1997, è Carlo Cudicini. Ha giocato una sola partita nella Lazio, ma è rimasta viva nella memoria dei tifosi: giocò contro il Cagliari e si infortunò gravemente, rimanendo a difendere la porta con una lesione ai legamenti di un ginocchio. Anche lui ha perso in finale, due volte, col Milan e col Chelsea, ma era sempre in panchina. Oggi è nello staff del Chelsea.

Simone Inzaghi completa il gruppo degli ex illustri in lizza. Lui è rimasto alla Lazio, con qualche temporanea migrazione, e ha conosciuto, da compagno o da avversario, la gran parte degli ex che abbiamo citato. Proverà a giocarsi le sue carte contro il Bayern campione di tutto, perché quest’anno siamo nella massima competizione europea non soltanto con gli ex.

I processi alla Lazio non finiscono mai

Siamo alle solite: Lazio sotto processo. La notizia del deferimento per presunte irregolarità nella gestione dell’emergenza sanitaria da Covid-19 tiene banco e i soliti processi mediatici sono in atto da tempo. Sul contenuto delle accuse e sugli sviluppi possibili abbiamo già letto ovunque e non ne parleremo qui.

Se dessimo retta ai processi sommari dovremmo immaginarci come minimo radiati dai ranghi calcistici (ad alcuni piacerebbe assai), ma l’esperienza insegna che i processi si celebrano nelle aule dei tribunali (in questo caso quello sportivo) e che in genere le condanne degli ultras con la penna restano nei loro sogni bagnati.

Vedi eclatante caso Mauri, costato al giocatore una settimana di carcere gratis, dopo una vergognosa campagna di stampa, simile, nei toni e nelle condanne preventive, a quella a cui assistiamo da mesi, nel quadro torbido di una feroce lotta politica interna alla Lega Serie A per i diritti televisivi e la creazione della Media Company, un affare da centinaia di milioni che molti vorrebbero pilotare a colpi di sensazionalismi.

Il pasticcio dei tamponi è un groviglio inestricabile: altri ne uscirebbero come parti lese (guardate al colore delle sciarpette dei suddetti ultras con la penna), la Lazio esce sempre condannata. Staremo a vedere: i comunicati del club sembrano sereni e fiduciosi in un esito positivo della vicenda. Civiltà vorrebbe che si giudicasse l’imputato innocente fino a prova contraria, ma l’ultras con la penna del garantismo non sa che farsene.

Che sia un atto dovuto o un grave atto d’accusa, il processo che seguirà al deferimento vedrà la Lazio difendere le sue ragioni, già accennate nelle comunicazioni ufficiali.
Noi aspetteremo gli esiti della vicenda, certi che per ogni processo archiviato prima o poi se ne inventerà un altro. Va così. D’altra parte se non puoi batterli sul campo tenti tutte le strade possibili. Vedi calciopoli, in un senso e nell’altro.

 

 

Nel girone dei bestemmiatori

Benvenuti nel girone dei bestemmiatori! Dopo la multa rimediata da Simone Inzaghi col Sassuolo, per aver pronunciato espressione blasfema, tocca a Manuel Lazzari beccare una squalifica per aver pronunciato un bestemmione in favore di microfono durante Inter-Lazio.

A niente vale l’attenuante della consuetudine: i vicentini, oltre che magnagati, sono considerati grandi bestemmiatori, come tutti i veneti, per quanto tra i più timorati di Dio.

La Lazio, si sa, assomma, per alcuni, tutti i vizi: i nostri giudicano venale un moccolo che, regolamenti alla mano, può costare caro. Peggio delle tavole di Mosè. Almeno in chiesa basta pentirsi sinceramente, salvo ritornare a farlo.

Ripartire tutti insieme

Troppo Lukaku per questa Lazio, sembra dire la foto. In campo è andata proprio così, nonostante le attenuanti generiche invocate da Inzaghi: l’Inter è stata superiore nella gestione della partita, disponendosi a difesa del risultato raggiunto dopo un buon quarto d’ora iniziale della Lazio, grazie al rigore di Hoedt su Lautaro Martinez trasformato da Lukaku e al raddoppio fortunoso dello stesso Lukaku, lanciato da un rimpallo su una palla contesa tra Brozovic e Lazzari, nato da un disimpegno difettoso.

Insomma, le condizioni ideali per giocare di rimessa, a campo spalancato, con la potenza del centravanti belga che poteva scatenarsi in progressione. Alla fine, viste le occasioni capitate in contropiede ai nerazzurri, il 3-1 è risultato quasi accettabile, anche se resta qualche rimpianto soprattutto sul rigore: Hoedt è entrato per tentare una chiusura disperata e ha trovato il giusto tempo per arrivare sulla palla, travolgendo però Lautaro con la gamba di richiamo. Sembra un rigoretto, ma a norma di regolamento ci sta.

Per la Lazio era la giornata propizia per rientrare nella lotta al vertice, ma il verdetto è stato inequivocabile: l’Inter, al completo, è più attrezzata e offre a Conte tutte le variabili che gli servono per impostare la partita a piacimento.

Si è potuto permettere di chiudere gli spazi come avevano fatto il Verona, il Cagliari, l’Udinese, potendolo fare con elementi di classe internazionale come De Vrij, Skriniar, Bastoni, utilizzando un grande giocatore come Perisic per tenere a bada Lazzari. I nostri hanno pagato dazio all’abbondanza, rivelando che la coperta in certe circostanze è corta: l’ammirevole dedizione con cui Luis Alberto e Milinkovic-Savic si sono applicati alla copertura ha lasciato l’attacco senza rifornimenti, e i canali che usa la Lazio di solito si sono inariditi: poco Lazzari, poco Marusic, poco Ciro, un Correa voglioso ma alla fine leggero.

In più, la difesa, priva di Radu che si è aggiuntoi a Luiz Felipe, lasciando ad Hoedt e a Patric l’incombenza di contenere, insieme ad Acerbi, la furia del duo interista, supportato da un ispirato Eriksen.

Non si può negare la delusione, ma si deve tenere presente che la sconfitta è arrivata al Meazza, per mano della capolista che è la più accreditata favorita per lo scudetto. Nessun dramma, quindi, ma ripartiamo subito: c’è una Sampdoria in forma, da domare. E arriva subito prima della Champions, circostanza che ha prodotto il disastro di Marassi all’andata, uno 0-3 senza metterci mano che introdusse l’impresa fatta in casa col Borussia Dortmund.

Difficile non sentire il richiamo del Bayern, che nei giorni scorsi si è aggiudicato il Mondiale del club. Ma per restare in zona Champions bisogna vincere con la Samp.