Champions sfumata? Forse, ma non è ancora finita

Non si placano le polemiche all’indomani della brutta sconfitta napoletana. Le decisioni di Di Bello hanno creato uno scenario che si è rivelato ideale per esaltare le qualità dei partenopei e i biancocelesti si sono dovuti inchinare a una superiorità  tecnica apparsa chiara, nella circostanza, anche se a tratti la Lazio ha girato a pieno regime. E in quei momenti si è visto che la squadra può competere, se al massimo, con il Napoli e con chiunque.

La decisione dell’arbitro pesa, ma non è un alibi sostenibile oltre il lecito. Resta il fatto che Di Bello non è intervenuto né sul rinvio di Milinkovic-Savic né sulla trattenuta di Hysay su Lazzari (vedi foto), che avrebbe richiesto la massima punizione e il cartellino rosso. Anche un intervento del Var a invalidare la decisione, perché l’azione è susseguente al presunto rigore su Manolas, sarebbe arrivato a decisione presa.

Così viene da pensare che senza Var la gara sarebbe passata oltre senza interventi arbitrali. E, se questo poteva essere il male minore per la Lazio, è comunque la prova ulteriore della serata negativa dell’arbitro, oltre che delle scelte di chi stava al Var, che hanno finito per orientare la gara verso Napoli. Com’è successo anche a proposito del fallo di mano commesso da Mertens in occasione del raddoppio tagliagambe dei partenopei.

Scelte legittime, anche se (molto) opinabili. Propendere per una decisione diversa avrebbe spinto la gara su territori alternativi, mantenendo lo status quo o lanciando in orbita la Lazio, con un uomo in più e un rigore da trasformare. Non è successo. Cose che capitano. Raramente ma capitano.

Seccante, semmai, il giudizio un poco a senso unico dei commentatori, solerti nel prendere le parti del Napoli come nel prendere quelle dell’Atalanta in occasione del discusso mani di Bastos nella finale di Coppa Italia vinta con pieno merito dalla Lazio.

Situazioni che sul campo accadono, curioso che nell’impossibilità di dirimere l’incertezza si prenda sempre posizione in senso contrario alla Lazio. Ma sarà, ovviamente, che guardiamo le cose con occhiali biancocelesti, oppure che per accorgersi di cose così  occorre, appunto, mettersi nei panni di chi sostiene le proprie ragioni. Che non sono poche, anche se fossero in minoranza, e non è detto.

Resta il risultato e il modo con cui è maturato, dopo lo show arbitrale. Che anticipa un verdetto che si può ancora riscrivere: Lazio fuori dalla CL, che soccombe a un lotto di avversari formidabili. Vero, ma il triplice fischio non è ancora arrivato, e una partita non dice tutta la differenza tra due squadre. Se ricordiamo il match d’andata la differenza, abissale, fu a favore della Lazio. Quindi, come sempre, bisogna guardare alla prossima partita, cercando di vincerla. Perché c’è sempre un’altra partita.

Il calcio si ribella alla SuperLega

Le immagini delle tifoserie in rivolta (almeno quelle inglesi: la sportività abita lì) sono la risposta più bella che il calcio riserva all’arroganza dei presidenti-cospiratori che hanno messo in piedi lo scintillante baraccone della Superlega, che s’avvia a morte ingloriosa a un paio di giorni dalla nascita notturna, manco fosse un fungo velenoso di quelli che ti dicono mangiami e poi muori.

L’arroganza di Florentino Perez, la doppiezza di Andrea Agnelli, la presunzione di chi credeva di poter incarnare un movimento che innerva l’intero pianeta, scompaiono miseramente davanti alla reazione veemente delle istituzioni del Football e al deciso rifiuto dei tifosi.

Così si scopre che i miliardi degli sponsor non sono tutto, mentre già si sapeva, quasi tutti, che se esiste il Real Madrid è per merito del calcio e non è affatto vero il contrario. Alla faccia dell’ingordigia di dodici club che di super hanno, molti, la bacheca, ma anche, tutti, l’indebitamento mostruoso, solo in parte dovuto ai rovesci imprevedibili della Pandemia.

Ingaggi folli, spese fuori controllo, voglia di far pagare il conto ai più piccoli, sostenendo che la salvezza del calcio passa per il ventre gonfio dei superclub che si sfidano in diretta a reti unificate in un superclasico a settimana.

Tutti insieme in una sporca dozzina che associa superblasonati e superindebitati, club di tradizione antica e di recente arricchimento. Stupiva lo stare fuori dal gruppo del PSG, che passa per essere il più posticcio dei grandi nomi del calcio europeo, ma esce benissimo dalla circostanza e si lancia verso l’agognata Coppa dalle Grandi Orecchie, che Eupalla non potrà negargli, per favorire le manacce avide del Real Madrid.

La reazione delle autorità, che hanno minacciato pesanti sanzioni, dei tifosi e degli altri club, soprattutto di quelli inglesi, ha dato il via alle defezioni: le sei inglesi, chi prima chi dopo, si stanno sfilando, facendo naufragare il progetto, accolte a braccia aperte dall’UEFA, figliolanza prodiga che lascia le altre allo scoperto.

Facile prevedere che l’afflosciarsi del progetto induca al dietro front tutte le altre, non foss’altro che per mettersi al riparo dall’ira funesta di Ceferin. Certo che più di qualcuno si meriterebbe una lezione di quelle sonore, soprattutto tra i tifosi che non hanno perso l’occasione per irridere chi dal megaprogetto restava fuori.

Beghe di secondo piano, tra social e calcio-pollaio, che possono trovare asilo giusto da noi, dove si sa che il fair play non ha mai attecchito. Se salta il banco lo sfottimento sarà un boomerang e i tre superclub gireranno accompagnati dalle sonore pernacchie degli altri, salvo consolarsi con i facili trofei e le regole aggirate a comando, in barba all’equità delle competizioni, e tutto il corollario del calcio malato che conosciamo.

La frontiera, però, in questo caso, è apparsa, bella solida: oltre un certo limite non è lecito andare. Se c’è un miliardo di asiatici che comprano questo prodotto non riuscendo a distinguere una Lazio da un Manchester City, c’è anche una realtà che rifiuta di riconoscersi in eventi creati ad arte ad uso e consumo del pubblico televisivo, e pretende di assistere a uno spettacolo sportivo dove chi sta in campo sia riconoscibile e riconducibile a una precisa geografia calcistica, scolpita nella pietra da più di un secolo di storia.

Non c’è Florentino Perez che tenga: i miliardi non comprano la voglia di correre dietro a un pallone dei bambini di tutto il mondo, che costituisce la base di un movimento che è vivo nei campetti di periferia, che racconta le palle di stracci delle favelas e le glorie dei Garrincha e dei Maradona che lì sono nati e cresciuti e che hanno scritto la storia del calcio, spesso sfidando la boria dei superricchi che credono di poter essere padroni di una passione.

Il calcio è di chi lo gioca. Il calcio è dei tifosi. C’è calcio oltre il Real Madrid, il Barcellona, la Juventus, l’Inter, il Milan. Una finale di Champions League tra Leicester e Porto sarà sempre un evento planetario. E i cinesi la guarderanno a miliardi, senza riuscire a distinguere l’una dall’altra, visto che hanno gli stessi colori. Se poi vai a chiedergli della Superlega e di Florentino Perez ti risponderanno: Flolentino chi?

La palla, intanto, rotolerà felice, al comando dei miliardi di piedi che la calceranno.

La caduta da romanzo di mister miliardo. Sartor, un bravo ragazzo

La parabola di Sartor, da “Mister Miliardo” a rinnegato e dimenticato


Illustrazione di Lorenzo Conti

Se l’Italia si dimostrasse sensibile quanto l’Inghilterra alla dimensione epica del calcio, oggi Luigi Sartor sarebbe l’uomo del momento, braccato dagli editori disposti a sgomitare per pubblicare la sua autobiografia e dai produttori televisivi risoluti a mettere in scena la sua parabola esistenziale.

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Keita e Hermanos: una bella storia di solidarietà

L’abbiamo visto crescere, abbiamo sognato di vederlo diventare un campione, lo abbiamo salutato infastiditi dalla sua voglia di andare altrove, per una vicenda contrattuale complicata e infinita. A 25 anni Keita Balde Diao è ancora in tempo per mantenere le promesse e a Genova sta conquistando la fiducia del tecnico e l’apprezzamento dei tifosi.

Torna a Roma nella settimana in cui la stampa spagnola gli dedica spazio: è imminente la prima televisiva del documentario Hermanos, che racconta la storia del suo intervento a sostegno dei 200 braccianti e raccoglitori di frutta senegalesi rimasti senza casa a Lleida, in Catalogna.

Keita, al tempo in forza al Monaco, è intervenuto in aiuto dei braccianti, inviando cibo, vestiti e denaro. Tutto è avvenuto grazie ai social: dopo aver guardato un video realizzato dal regista Paco Leon insieme a Serigne Mamadou, che denunciava le condizioni in cui vivevano i lavoratori africani, Keita ha preso contatto con Leon e Mamadou, e si è attivato  per aiutare, in tempi di lockdown, con la sua iniziativa di solidarietà, che risale al periodo di marzo/aprile del 2020.

Una storia che parla di razzismo: nonostante Keita si offrisse di pagare le spese molti alberghi  della zona rifiutavano di ospitare i senegalesi, costretti a dormire per strada e a vivere in condizioni disumane.

Nella conferenza stampa di presentazione del video Keita ha raccontato la storia, parlando di razzismo, e ha dichiarato: “C’è qualcosa che non sta andando per il verso giusto. A dire la verità non ne ero cosciente fino a quel momento. Dopo aver visto quel video ho capito. Vivo da molti anni fuori dalla Spagna e non sapevo che le cose andassero così. Offrivamo aiuto e ci siamo scontrati con le pietre. Il problema principale era trovare un posto dove stare e dove dormire, non riuscivamo a trovare un posto. Che ti prendano a sassate quando cerchi di aiutare ti dà da pensare su come stiamo in questo momento. Sono un privilegiato, chi avrebbe mai pensato che avrei potuto fare questa vita? Quando vedo qualcuno triste nello spogliatoio per una sciocchezza penso sempre che i problemi veri sono altri. Viviamo in un mondo dove ci sono più cose brutte che belle, ma non bisogna perdere l’ottimismo. Si tratta di seguire i propri sogni: ho fatto questo a Lleida perché spero che domani lo faccia anche qualcun altro”.

Keita è cresciuto, campione o no, è un uomo che merita tutta la stima del mondo.
Sarà un onore ritrovarlo in campo.

La Champions League dei laziali

La Champions League di quest’anno è piena come non mai di vecchie conoscenze laziali, sparse in ben 6 squadre ancora in corsa negli ottavi di finale. Con la Lazio fanno 7.

Uno di loro l’ha vinta sul campo, privilegio toccato anche a Tassotti (tre volte), Nesta (due volte), Oddo e Favalli  col Milan, a Michael Laudrup col Barcellona e a Stankovic e Pandev con l’Inter. Si tratta di Karl-Heinz Riedle, oggi dirigente del Borussia Dortmund, che mise a segno una fantastica doppietta nella finale vinta (1997) contro la Juve, in cui giocava un ex laziale (Boksic, già vincitore della Coppa a Marsiglia) e due futuri biancocelesti, Jugovic, che già aveva vinto la Coppa con la Stella Rossa, insieme a Mihajlovic, e Vieri.

In parecchi ci sono andati vicini, perdendo in finale. Il più titolato è il Cholo: Simeone, un palmares spaventoso di trofei vinti, ha perso da mister dell’Atletico due volte in finale, sempre contro il Real Madrid. Quest’anno ci riprova, sempre alla guida dei Colchoneros. Anche Miro Klose ha perso la sua chance, finalista battuto dall’Inter di Mourinho. Oggi è il vice allenatore del Bayern che si accinge ad affrontare la Lazio. La Champions persa nella Samp è rimasta, per Roberto Mancini, il massimo rimpianto di una carriera ricca di soddisfazioni. Con lui in campo, quel giorno, anche Attilio Lombardo e Renato Buso. Mancio e Lombardo saranno laziali, Buso era già un ex. Flavio Roma, campione d’Italia primavera con nesta e Di Vaio, perse la finale difendendo la porta del Monaco contro il Porto di José Mourinho.

Ieri sera Sergio Conceiçao ha guidato proprio il Porto alla vittoria contro la Juve. In panchina sedeva un malinconico Felipe Anderson, che vede il campo di rado. Nella Juve sconfitta, oltre a Nedved, Vicepresidente, siede in panchina Roberto Baronio, talento sempre in procinto di sbocciare e alla fine appassito in molte Lazio del terzo millennio. Fa l’assistente di Pirlo.

Un altro, ricordato per un episodio risalente al 1997, è Carlo Cudicini. Ha giocato una sola partita nella Lazio, ma è rimasta viva nella memoria dei tifosi: giocò contro il Cagliari e si infortunò gravemente, rimanendo a difendere la porta con una lesione ai legamenti di un ginocchio. Anche lui ha perso in finale, due volte, col Milan e col Chelsea, ma era sempre in panchina. Oggi è nello staff del Chelsea.

Simone Inzaghi completa il gruppo degli ex illustri in lizza. Lui è rimasto alla Lazio, con qualche temporanea migrazione, e ha conosciuto, da compagno o da avversario, la gran parte degli ex che abbiamo citato. Proverà a giocarsi le sue carte contro il Bayern campione di tutto, perché quest’anno siamo nella massima competizione europea non soltanto con gli ex.

I processi alla Lazio non finiscono mai

Siamo alle solite: Lazio sotto processo. La notizia del deferimento per presunte irregolarità nella gestione dell’emergenza sanitaria da Covid-19 tiene banco e i soliti processi mediatici sono in atto da tempo. Sul contenuto delle accuse e sugli sviluppi possibili abbiamo già letto ovunque e non ne parleremo qui.

Se dessimo retta ai processi sommari dovremmo immaginarci come minimo radiati dai ranghi calcistici (ad alcuni piacerebbe assai), ma l’esperienza insegna che i processi si celebrano nelle aule dei tribunali (in questo caso quello sportivo) e che in genere le condanne degli ultras con la penna restano nei loro sogni bagnati.

Vedi eclatante caso Mauri, costato al giocatore una settimana di carcere gratis, dopo una vergognosa campagna di stampa, simile, nei toni e nelle condanne preventive, a quella a cui assistiamo da mesi, nel quadro torbido di una feroce lotta politica interna alla Lega Serie A per i diritti televisivi e la creazione della Media Company, un affare da centinaia di milioni che molti vorrebbero pilotare a colpi di sensazionalismi.

Il pasticcio dei tamponi è un groviglio inestricabile: altri ne uscirebbero come parti lese (guardate al colore delle sciarpette dei suddetti ultras con la penna), la Lazio esce sempre condannata. Staremo a vedere: i comunicati del club sembrano sereni e fiduciosi in un esito positivo della vicenda. Civiltà vorrebbe che si giudicasse l’imputato innocente fino a prova contraria, ma l’ultras con la penna del garantismo non sa che farsene.

Che sia un atto dovuto o un grave atto d’accusa, il processo che seguirà al deferimento vedrà la Lazio difendere le sue ragioni, già accennate nelle comunicazioni ufficiali.
Noi aspetteremo gli esiti della vicenda, certi che per ogni processo archiviato prima o poi se ne inventerà un altro. Va così. D’altra parte se non puoi batterli sul campo tenti tutte le strade possibili. Vedi calciopoli, in un senso e nell’altro.

 

 

Nel girone dei bestemmiatori

Benvenuti nel girone dei bestemmiatori! Dopo la multa rimediata da Simone Inzaghi col Sassuolo, per aver pronunciato espressione blasfema, tocca a Manuel Lazzari beccare una squalifica per aver pronunciato un bestemmione in favore di microfono durante Inter-Lazio.

A niente vale l’attenuante della consuetudine: i vicentini, oltre che magnagati, sono considerati grandi bestemmiatori, come tutti i veneti, per quanto tra i più timorati di Dio.

La Lazio, si sa, assomma, per alcuni, tutti i vizi: i nostri giudicano venale un moccolo che, regolamenti alla mano, può costare caro. Peggio delle tavole di Mosè. Almeno in chiesa basta pentirsi sinceramente, salvo ritornare a farlo.

Un’occasione per due

Muriqi e Pereira, tocca a voi

Una settimana di cattive notizie, dopo la festa del derby: l’operazione-lampo subita per un’appendicite da Luis Alberto, e quella da programmare per la caviglia dolente di Luiz Felipe. Contrattempi che non fanno scemare l’entusiasmo a Formello, innescato da un effetto derby palese anche a guardare dall’altra parte del Tevere, con le difficoltà enormi palesate dalla Roma in Coppa Italia, indice di uno stato confusionale da pugile suonato.

In attesa di capire come sarà gestita la lunga assenza (due mesi) di Luiz Felipe, ammesso che si operi, in difesa stasera contro il Parma si rivedrà Parolo, già utilizzato a inizio stagione. Porta chiusa per Armini, evidentemente non considerato all’altezza della situazione da Inzaghi. La partita vedrà la Lazio opposta a una squadra che sta lavorando bene per ritrovarsi, confortata dall’ottimo risultato ottenuto col Sassuolo. In vantaggio per tutta la partita con un gol di Kucka, i crociati sono stati raggiunti nel recupero con un calcio di rigore, nonostante l’emergenza assoluta, con diversi titolari indisponibili.

Un’emergenza che perdura. Per la Lazio, dunque, la qualificazione è alla portata, a patto di mantenere alta la concentrazione. Sarà la grande occasione per due che il campo l’hanno visto poco, nonostante le ottime referenze. Mentre Pereira ha già fatto balenare le sue indubbie doti tecniche, nei pochi minuti passati in campo, Muriqi ha alimentato più di qualche dubbio, nonostante i tifosi l’abbiano preso subito in simpatia, per la sua immagine da pirata che evoca uno spirito battagliero a oggi visto in campo solo a tratti.

Muriqi si è impegnato molto ogni volta che è entrato, ma ha palesato qualche limite tecnico ed è probabile che il suo sia un problema di adattamento, visto che in Turchia ha lasciato molti estimatori.
Stasera ci sarà per lui una grande occasione per sbloccarsi, cancellare lo zero dalla casella dei gol segnati e iniziare un percorso importante con la Lazio, mettendo anche a tacere qualche sussurro di mercato che lo vorrebbe sulla rotta di un ritorno a casa che suonerebbe da bocciatura per lui e per il mercato della Lazio.

Tornano Fares e Strakosha, spazio per Hoedt, Escalante e Akpa Akpro, insomma una Lazio formato turnover, con gli straordinari chiesti allo stakanovista Acerbi e a Milinkovic-Savic. In campo per il Parma anche il giovane belga Dierckx, primo 2003 in assoluto a esordire nel campionato di serie A.
Arbitrerà Ayroldi.

Caicedo & Ciro, piano piano la Lazio va

Seconda vittoria interna consecutiva per la Lazio, e già è una buona notizia. Propiziata in avvio da una magnifica girata di Caicedo, su assist di Lazzari, che fulmina il portiere viola e mette in discesa la partita per i biancocelesti. La Fiorentina, partita molto aggressiva, si abbatte un po’ e subisce il buon primo tempo della Lazio, sospinta da un fervido Luis Alberto.

Non che siano cancellati i problemi palesati a Genova: c’è qualche difficoltà a trovare la porta, si commette qualche errore di troppo nel fraseggio che fa ripartire l’azione, qualche uomo non pare al meglio, ma i biancocelesti legittimano chiaramente il vantaggio, e trovano uno splendido raddoppio con Immobile, lanciato a meraviglia da Luis Alberto ma in fuorigioco di pochissimo: il Var annulla. Strakosha para molto bene su un diagonale da sinistra di Vlahovic ed esulta, rompendo il ghiaccio al rientro. La Lazio dà l’impressione di poter gestire l’impegno con una certa disinvoltura.

Non si conferma, però, nella ripresa, in cui cede pian piano il passo alla Fiorentina, che Prandelli rimodella per cercare di cambiare la partita. Uscito nel primo tempo Ribery, sostituito da Eysseric, nella ripresa entra Callejon, vecchio incubo laziale. Subito prima Akpa Akpro aveva rilevato Caicedo, un segnale di debolezza da parte di Inzaghi, forse, oppure la necessità di tenere botta a centrocampo.

Un erroraccio di Patric mette Vlahovic solo davanti a Strakosha: l’attaccante ha un attimo d’esitazione che il portiere sfrutta per salvarsi, prima di rimproverare il difensore. I soliti segnali: cali di tensione in agguato. Prandelli insiste e aggiunge una punta, ma ci pensa Ciro Immobile: appostato sul secondo palo su calcio d’angolo segna con una bordata ravvicinata su respinta difettosa di Dragowski. Un gol provvidenziale, che consente di gestire il finale di partita.

Però si soffre. Prima Milinkovic-Savic salva sulla linea su Castrovilli, a Strakosha battuto. Poi Hoedt commette fallo su Vlahovic e Abisso concede il rigore. Un rigoretto, per la verità, ma l’azione è nata da un disimpegno sbagliato da Strakosha in condominio con Radu. L’immancabile leggerezza difensiva. Vlahovic trasforma e il finale è di sofferenza, con una grande chance nel recupero per i viola: film già visto, con Callejon che gira largo alle spalle di Radu ma non riesce a colpire. Finisce in gloria, con qualche sofferenza, ma contava vincere e i tre punti arrivano, col sorpasso sul Verona in classifica.

Vincendo si migliora, almeno questo è l’augurio: prossima fermata a Parma.

Nel finale entra Radu, nuovo recordman di presenze in serie A nella Lazio: sono 320. Complimenti.

LAZIO : Strakosha 6; Luiz Felipe 6 (1′ st Patric 5,5), Hoedt 6, Acerbi 6; Lazzari 6 (33′ st Radu sv), Milinkovic-Savic 7, Escalante 6 (33′ st Cataldi), Luis Alberto 7, Marusic 6,5; Caicedo 7,5 (14′ st Akpa Akpro 6), Immobile 7 (44′ st Muriqi). Allenatore: Inzaghi 6.

FIORENTINA : Dragowski 5,5; Venuti 6 (15′ st Callejon 6), Martinez Quarta 5 (29′ st Lirola), Pezzella 6,5; Igor 6, Amrabat 6, Bonaventura 5,5 (29′ st Kouame), Biraghi 6; Castrovilli 6,5, Ribery 5 (38′ pt Eysseric 5); Vlahovic 6,5. Allenatore: Prandelli 6.

ARBITRO: Abisso di Palermo.

MARCATORI: 6′ pt Caicedo (L), 31′ st Immobile (L), 43′ st rig. Vlahovic (F)