Dissertazioni pallonare ( per chi non ama il calcio)

di Giacomo Tortorici
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Dicono che sia lo sport più amato al mondo perché è una metafora della vita, non lo so. Forse è proprio la vita a svolgersi su quel rettangolo verde e tutto quello che ci sta intorno.
E oggi Italia – Svizzera ci dà modo di ragionare sulla gestione del gruppo e dell’individuo nel gruppo stesso, argomento affascinante sia per chi, come il sottoscritto, si trova a dirigere un po’ di persone, che per chi si trova invece a far parte di team di lavoro, magari con una personalità spiccata.
L’attuale allenatore dell’Italia, Roberto Mancini, da giocatore era proprio così: calciatore fantastico dalla personalità spiccata che però in Nazionale non ha mai reso secondo le aspettative.
Agli Europei dell’88 partì titolare in una Nazionale simpatia, molto simile nella freschezza a questa, segnò anche nella prima partita, ma poi gli fu preferito l’esperto Altobelli. A Italia ’90 non giocò nemmeno un minuto.
Oggi aveva l’opportunità di sostituire sul 2-0 un Ciro Immobile stanco dopo una partita generosa, ma priva di goal, eppure ha preferito tenerlo in campo. Poteva mettere Belotti, grande e grosso, abile a tenere palla, far esordire Giacomo Raspadori pronto a esplodere la sua gioventù e invece ha tenuto in campo il bomber di Torre Annunziata. Che l’ha ripagato, timbrando all’ottantanovesimo il goal che ha sprangato la partita.
L’ha fatto perché nella gestione del gruppo, saper coccolare, senza viziarlo ovviamente, il bomber è fondamentale, perché con questa squadra l’Europeo puoi vincerlo solo con i suoi goal e tu sai che più segna, più prende fiducia, più può risegnare nelle partite che contano.
Fiducia, continuità, ma anche la capacità di tenere tutti gli altri attaccanti pronti a sostituirlo: dura la vita dell’allenatore, ma anche del Direttore in fondo. E facilissimo sbagliare.
Ma oggi è stato fondamentale, a mio parere, anche la coscienza della propria storia, veramente magistra vitae (ludique aggiungerei con un orrido latinorum), cercando di offrire a Immobile quelle opportunità che Mancini non ha avuto o forse non ha saputo sfruttare.
C’è sempre insomma da imparare e da insegnare. Ma certo lo so: #magnotranquillo

Il saluto di Simone

La lettera di Simone Inzaghi ai tifosi laziali, pubblicata dal Corriere dello Sport.

«Carissimi tifosi laziali, avevo 23 anni quando sono arrivato a Roma. Ero un ragazzino pieno di sogni e ambizioni che pensava solo a diventare un calciatore affermato. La Lazio in quel momento rappresentava per me una splendida opportunità, una possibilità per raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissato. Mai mi sarei immaginato che sarebbe diventata la mia nuova casa. Giorno dopo giorno, quell’esperienza professionale è diventata molto di più. Ho scoperto una nuova famiglia. Non è semplice retorica, è la realtà. Sono trascorsi altri 22 anni da quel momento, metà della mia vita. Sono cresciuto e diventato uomo insieme a tutti voi, trascorrendo anni meravigliosi. Non dimentico né le gioie né le lacrime. Non dimentico le vittorie, né tantomeno le sconfitte, che non mi hanno mai fatto dormire la notte. Tutto questo da parte della mia vita e lo porterò per sempre con me. Ecco perché non è stato facile e non lo è tuttora voltare pagina. Non è una cosa che si può fare in un minuto, una settimana. Ci vorrò tempo per elaborare le emozioni e un cambiamento così radicale, dove le emozioni si scontrano una con l’altra. Non ho problemi ad ammettere che lasciare la Lazio sia stata una delle scelte più complicate della mia vita, non ho avuto ancora nemmeno la forza di andare a svuotare l’armadietto a Formello. I motivi che mi hanno portato a fare questa scelta non voglio affrontarmi ma è probabile che tutti avremmo potuto fare meglio. Nessuna polemica s’intende. Non le ho mai fatte. Il biancoceleste per me resterà solo amore. Senza il presidente Lotito e il ds Tare non avrei mai potuto realizzare il mio sogno di allenare la mia squadra del cuore. Allo stesso tempo però sono anche un professionista che ama il suo lavoro: per questo la mia determinazione e la voglia di mettermi in gioco mi portano lontano da Roma e non nego di essere completamente concentrato su questa nuova avventura con l’Inter. Ma voi, tifosi e amici e compagni, mi mancate e mi mancherete e volevo farvelo sapere. Non sono uno di molte parole ma oggi sto facendo un’eccezione proprio per questo, anche perché più passano i giorni e più i miei pensieri escono dal cuore. Si dice che le persone care bisogna lasciare andare e io lo sto facendo, abbracciando simbolicamente ciascuno di voi. Tutto quello che potevo dare l’ho dato, a discapito anche della mia famiglia, della mia salute e delle mie corde vocali. Credetemi, quando uscirò il calendario la prima cosa che farò sarà vedere il giorno in cui tornerà all’Olimpico. E ve lo dico già adesso: verrò sotto la Curva Nord per salutarvi. Non mi interessa se ci saranno fischi o applausi, accetterò qualsiasi cosa. Io ci sarò. Faccio un grosso in bocca al lupo a mister Sarri. Un grandissimo allenatore che farà il bene della Lazio. E che riceverà tanto in cambio perché troverà una tifoseria meravigliosa e un gruppo di ragazzi straordinari. Calciatori e prima ancora uomini fantastici, che non ringrazierò mai abbastanza per avermi dato sempre tutto e anche qualcosa di più. E poi ci sono tante persone dietro le quinte a Formello che in pochi conoscono, ma che sono state fondamentali e preziose per me e per tutti noi. MI hanno accompagnato nel mio cammino. Non dimenticherò mai le loro lacrime: avrete sempre un posto del mio cuore. Sentirò sempre la Lazio come casa mia e io per voi resterò sempre e solo Simone. È stato un privilegio e un grande onore. Abbiamo scritto e raccontato tutti insieme anni che rimarranno nella storia. Vi voglio un mondo di bene. Sarete sempre parte di me».

Il giorno in cui smisi di fumare

di Romolo Giacani

Roma, maggio 2026.
Ti ricordi quando mi dicevano “perché ti sei fissato con questa difesa a 4! Cambia ogni tanto!” Oppure quelli pronti a criticare “perché sostituisci sempre chi è ammonito?” e quegli altri invece che mi rimproveravano qualche acquisto “fai giocare sempre gli stessi, fai qualche cambio ogni tanto”.

Meno male che sono andato dritto per la mia strada. Perché a me non mi basta vincere, a vincere sono buoni tutti. Mi piacciono le iperboli, le idee che viaggiano sulle gambe degli uomini e quando il pallone disegna sul campo quello che hai per la testa, mi sembra di essere dentro una poesia di Bukowsky.

E’ stata dura, ma non mi sono arreso, neanche quando mi rinfacciavano il credo politico. Che poi pure Maestrelli era di sinistra, ma questi son pischelli, magari neanche sanno chi è Maestrelli. Certo forse pure io potevo evitare di andare sotto la curva con il pugno alzato, ma ero troppo felice, avevamo appena vinto il derby.

Contro quell’antipatico di portoghese poi, giusto in tempo prima che lo cacciassero…che gusto! Come questa sigaretta. La devo assaporare per bene, fino al filtro. Quando uno fa una promessa è quella, anche se la fai esclusivamente con te stesso: avevo detto, se vinco lo scudetto qui basta, smetto di fumare.

Che mi diceva la testa! Forse non ci credevo neanche io.
Oppure invece proprio al contrario: ero sicuro! Ed ero anche sicuro che quello sarebbe stato il miglior modo di smettere. D’altra parte i numeri erano dalla nostra parte: 74, 00, 26 succede ogni venticinque anni.
Adesso però è ora.
Ultimi 90 minuti, andiamo a scrivere la storia.

Una sigaretta, la Lazio e il sarrismo

In una città dove per uno che si dichiara Laziale, ce ne sono più di tre che si dichiarano di #inquelli, nonostante poi le presenze allo Stadio e gli abbonamenti alla TV propongano un rapporto di 1 a 1,3, non c’è niente che mi faccia sentire me stesso e divertirmi come essere Laziale, contro la narrazione dominante, contro i media, contro tutto, tutti e Totti (fino a quando c’è stato).

Ogni Laziale è diverso, non ci hanno dato una squadra da tifare. È lei che, a volte imprevedibilmente, ci ha scelto. Una sola cosa accomuna tutti noi: siamo disincantati, ipercritici, soprattutto verso noi stessi. Mentre il motto del tifoso romanista è: “la Roma non si discute, si ama!”, il Laziale acritico non esiste.
Per questo gli ultimi 14 giorni, dall’abbandono di Inzaghi all’odierno ingaggio di Sarri, sono stati un concentrato di lazialità, che si è espressa, non essendoci il campionato, soprattutto sui social. Dopo la dipartita del tecnico spiacentino, abbiamo iniziato a prefigurare l’arrivo di chiunque potessimo già criticare.
Appena ha iniziato a circolare poi il nome di Sarri, uno che oltre a un curriculum di tutto rispetto, è famoso per essere un personaggio fuori le righe e per la bellezza, a volte superflua, del gioco delle sue squadre, è iniziato il delirio social.
Sarri fuma e i tifosi laziali, dai più giovani e scalmanati, ad austeri professori universitari, fino al sottoscritto hanno iniziato a riempire i social di emoticon con la sigaretta. E basta. Niente parole, solo emoticon: bastava che chiunque parlasse di qualcosa che avesse a che fare con la Lazio e una serie di matti metteva le sigarette.
Sembrava impossibile, la trattativa non si sbloccava, il Presidente Lotito non aveva mai puntato su qualcuno di già affermato e noi mettevamo sigarette, divertendoci in ogni caso.
Oggi l’account ufficiale della Lazio, proprio come noi tifosi, fregandosene del politically correct, anteponendo il gusto irresistibile per noi romani dell’ironia, all’ipocrita senso dell’opportunità annuncia l’arrivo di Sarri con un’emoticon: la sigaretta.
E poi a stretto giro, per riaffermare ancora una volta l’inestricabile incrocio di ironia, amore per il bello e per i guai che ci contraddistingue, carica un video su Sarrismo e Lazialità. Un minuto di noi: un quadro impazzito con Gandhi, Martin Luther King, Gascoigne, Paolo Di Canio, la Curva Nord, il tifo, l’arte, la bellezza e infine Sarri.
E probabilmente non vinceremo niente, ma ci saremo stati e comunque ci siamo già divertiti, contro tutto e contro tutti, abbiamo acceso la miccia con una sigaretta. Nessuno ci vorrà o ci potrà capire. Lo so: #magnotranquillo

Finalmente: Sarri

Quanto può durare la trattativa per l’ingaggio dell’allenatore di un club importante? C’è chi la chiude in una nottata, nonostante il mister si sia impegnato a rinnovare con altri: è capitato quindici giorni fa, il ragazzo-mister della Lazio aveva accettato la proposta di Lotito ma era insoddisfatto, si vede, desideroso di nuove sfide o di qualche dollaro in più.

Così ha detto: spiace. E noi ci siamo arrabbiati perché poco prima, giusto poco prima, aveva esternato, e non sembrava da lui, un lamento del tecnico vincente e ignorato dalla sua società, costretto a elemosinare un rinnovo da mesi e mesi, manco fosse una fidanzata lasciata a casa ad aspettare un amore che si era dimenticato di lei o aveva trovato di meglio da fare.

Poi è partito il toto-successore, non prima di aver buttato la croce sulle spalle della società, rea di approssimare e di tirare per le lunghe pure le trattative per l’acquisto dei birilli da campo di allenamento. Mentre i cavalieri dell’angoscia si dilettavano a ipotizzare nomi che alimentassero il dileggio, da Maran a Mazzarri, Lotito si metteva sulle tracce del tecnico in grado di caricarsi sulle spalle un’operazione-rilancio in grande stile.

Maurizio Sarri, detto il Comandante.

Cercato, chiamato, convinto. In due settimane, poche o tante che siano. Tante per chi come me si è astenuto dallo scrivere, per scaramanzia. Poche, per gli standard di Lotito, che sembrava aver trovato un osso duro, in grado di dilatare quanto lui i tempi di un discorso a tavolino. La visita al centro sportivo, i ragionamenti sullo staff, i dettagli economici che non sono mai sembrati il punto centrale della discussione.

Si riparte da un allenatore “giochista”. Abbiamo avuto Zeman e sappiamo cosa vuol dire. Così il vocabolario della Treccani definisce il sarrismo:

sarrismo (Sarrismo) s. m. La concezione del gioco del calcio propugnata dall’allenatore Maurizio Sarri, fondata sulla velocità e la propensione offensiva; anche, il modo diretto e poco diplomatico di parlare e di comportarsi che sarebbe tipico di Sarri.

Non che Inzaghi non ci tenesse al gioco, in tanti lo accusavano come in una litania-mantra di eccessiva rigidità, schiavo di un modulo e di alcune modalità di costruzione divenute forse scontate. Certo, l’involuzione si toccava con mano.

Ora i tifosi sono entusiasti: la piazza è in fermento per l’inatteso rilancio, che dice di una società ambiziosa, che ha programmi di crescita in una congiuntura calcistica tempestosa.
Conoscendo i laziali, la fiducia in bianco durerà poco, ma il quinquennio di Inzaghi, con tanto bel gioco e alcuni preziosi trofei conquistati, sta a dimostrare che la piazza biancoceleste è una delle migliori possibili per un allenatore che punta sulla costruzione di un collettivo in grado di esaltare le qualità dei singoli.
La Lazio di singoli di alta qualità ne ha già tanti.

Sarà una piccola-grande rivoluzione tattica. Vedremo se i giocatori in rosa saranno di suo gradimento e quali saranno le scelte di mercato della società. Di certo chi poteva essere attratto da sirene interiste ha, oggi, un motivo in più per rimanere e voltare pagina. A Formello si lavora per vincere: Sarri, tra Napoli, Juventus e Chelsea, è stato sempre nei primi tre in classifica e ha centrato uno scudetto e un trofeo europeo.

E poi ci sono tutti gli accostamenti che sembrano segno buono: Sarri è nato il 10 gennaio, in piena ricorrenza laziale, e gli ultimi due allenatori toscani sono stati Fascetti (Viareggio) e Maestrelli (Pisa). Amatissimi. Non si contano i tifosi laziali che hanno chiamato un figlio Tommaso. Persino Inzaghi…