Scritto per Globalist
Otto punti nelle ultime sette gare di campionato, undici in meno rispetto allo scorso anno, una difesa che fa acqua, un attacco che si affida quasi in esclusiva alle prodezze di Immobile: sono i numeri a inchiodare la Lazio di Simone Inzaghi, grande delusione di questo inizio di campionato.
Ieri Marocchi, commentatore televisivo pungente, l’ha definita “assente ingiustificata” nelle zone alte della classifica. Giudizio severo, ma azzeccato.
I biancocelesti a marzo furono fermati dal Covid quando erano in testa alla classifica, poi scavalcati dalla Juventus dopo il recupero con l’Inter che si disputò appena prima che la serie A chiudesse i battenti.
Il rendimento post-lockdown è una lunga teoria di stenti, alti e bassi, recriminazioni.
Inzaghi, all’inizio accorato nella difesa del lavoro suo e del suo staff, ha imprecato contro la sfortuna: infortuni in serie gli hanno impedito di ruotare gli uomini in un momento difficile.
Un grido di dolore che presto si è trasformato in alibi, un boomerang pesante per la sua squadra. La verità è che la Lazio in campo andava decisamente più piano delle altre, faticava a recuperare, era evidentemente impreparata a sopportare gli impegni ravvicinati, il caldo, la pressione che però c’erano per tutti.
Aveva una rosa numericamente inadeguata, forse, ma le sconfitte contro avversarie come Lecce o Sassuolo arrivavano contro organici non certo superiori, e l’inquietante inferiorità vista nel confronto contro il Milan faceva nascere interrogativi angosciosi nei tifosi: chi ha sbagliato, e perché?
Così la montagna del sogno scudetto partoriva il topolino del quarto posto, salutato comunque con gioia perché dopo tanti anni schiudeva le porte del paradiso della Champions League agli uomini di Lotito.
La nuova stagione, però, non ha mostrato una Lazio in condizioni accettabili. Il mercato ha portato alcuni elementi di complemento, arrivati tardi e alle prese con problemi fisici e di inserimento. Inzaghi a oggi utilizza con continuità il solo Reina, in un ruolo che credeva coperto, quello del portiere, che ha visto Strakosha sparire dalla circolazione dopo aver beccato il Covid.
I biancocelesti, di fatto, hanno ricordato la splendida squadra dello scorso inverno soltanto nella grande serata dell’esordio in Champions, in cui hanno annichilito il Borussia Dortmund del formidabile Haaland, e hanno offerto un rendimento all’altezza in poche occasioni, soprattutto nel massimo torneo europeo.
Per il resto, prestazioni balbettanti, alibi, proteste, polemiche sui social, punti lasciati per strada a piene mani, contro avversarie inferiori, sulla carta: zero punti in casa con Udinese e Verona, fuori con la Samp, pareggi francamente brutti a Benevento e in casa del Genoa, sconfitte maturate per errori individuali inconcepibili per una squadra che aspira a posizioni di vertice, come quella col Milan.
E sempre questo cercare scuse, dopo ogni partita, ipotizzando un domani migliore che non arriva, spacciando per buone prestazioni che non lo sono: la Lazio gira palla in orizzontale in uno stucchevole tictoc, privo di idee che non siano estemporanee giocate di Milinkovic-Savic, Luis Alberto o Correa, e si aggrappa al suo magnifico centravanti per rimanere a galla nella corrente limacciosa del centroclassifica.
Le altre, pure con qualche problema, corrono, in gruppo, avanti. La Lazio naviga al nono posto in classifica, tallonata dal Benevento di Inzaghi Senior, e sembra trastullarsi davanti allo specchio, cercando di ritrovare quella bellezza che l’aveva portata a battere due volte, seccamente, la Juventus, aggiudicandosi la Supercoppa italiana e candidandosi autorevolmente al trono della serie A.
Una bellezza sfiorita, che lascia il posto a una squadra che non sa più vincere e continua a girare a vuoto, nella speranza di ritrovare l’incanto che sembra perduto.