La Lega ha deciso: la Coppa Italia cambia formula e sarà riservata ai club di Serie A e Serie B. Se ne accorcia la durata e si punta a razionalizzare il calendario, che è inzeppato di eventi e subirà ulteriori compressioni con le nuove formule previste per le Coppe Internazionali. Si parla anche (finalmente) di una serie A a 18 squadre, che renderebbe il campionato più competitivo.
Curiosa la reazione/levata di scudi di media e social, che hanno rinfacciato la decisione a chi ha avversato, Ceferin in testa, il progetto della SuperLega, che voleva soppiantare la Champions League. Non se ne comprende il motivo, visto che la decisione è stata presa da un’assemblea di Lega che include i tre club dissidenti, quindi se ne rinfaccia il contenuto anche a chi non era certo contrario al progetto. In più, se ne evidenzia la chiusura al calcio minore, tacendo che un Coppa a inviti di sicuro premia meno il merito rispetto a un torneo riservato alle partecipanti a tornei che prevedono la possibilità di retrocedere, salire di grado, fallire, eccetera.
La SuperLega era (è) un progetto dove il più potente comanda, e configura un circolo ristretto di superclub basato su parametri che hanno a che fare principalmente col potere e la ricchezza. Forse per questo piace a tifosi e media italiani, sempre ossequienti e pronti a correre in soccorso del potente di turno.
I sondaggi usciti giorni fa sui giornali parlavano chiaro: i tifosi più favorevoli al megaevento erano quelli di Milan, Juventus e Inter. Cioè i tre club che già in Italia godono di una copertura mediatica che prescinde dai risultati sul campo, una narrazione fatta a misura di cliente che non considera il valore in campo ma solo il potenziale ritorno di pubblico. Un’Atalanta (una Lazio), insomma, non saranno mai messe davanti a uno dei tre superclub nazionali in una gerarchia delle notizie, salvo nell’eccezionale caso contingente di una vittoria eclatante. Discorso a parte merita, poi, la bolla mediatica giallorossa, che colloca la Roma in una posizione intermedia tra le tre grandi e le altre.
Il calcio italiano, insomma, va avanti col suo solito solipsismo: se il campo nega, eretico, la gerarchia predefinita, lo fa per caso, e non è necessario preoccuparsene oltremisura, perché la realtà turbata dai fatti tornerà, in assenza di altri fatti, allo status quo predefinito a tavolino.
Il che è la perfetta sintesi dello spirito del circolo di 15 eletti che ne invitano altri 5, una volta l’anno, a fare da comparse per un evento milionario. A proposito: il ritorno economico della Coppa Italia è l’uno per mille di quello della SuperLega…
Resta il lustro dato dalla vittoria nella competizione della Coppa Italia, che oggi pare diventato secondario rispetto a un piazzamento che consente di portare a casa soldi per alimentare il business. Quei soldi che il circolo dei ricchi vorrebbe gestire senza intermediari.
Il calcio è la metafora della vita, dice sempre qualcuno: l’assenza di mobilità sociale, il solco che divide ricchi che fanno follie da (pseudo)poveri che non riescono più a mandare in campo l’oggetto della passione dei tifosi, che si allarga sempre di più, sembra proprio, a guardar bene, la rappresentazione dello squilibrio globale.