Interviste con laziali notevoli: Alfonso Sermonti

Se ci mettessimo a contare quanti sono i siti web dedicati alla Lazio faremmo notte: portali, blog, pagine facebook, account twitter e instagram, e soprattutto forum.
Alfonso Sermonti è stato un pioniere del web laziale: ha iniziato, vent’anni fa, i percorsi biancocelesti nel web, mettendo on line il sito che è diventato Lazio.net, prima vera comunità di tifosi in Italia, dai contenuti che spesso scantonavano dal calcio per ragionare del mondo, della musica, del cinema, dei libri.

Alfonso racconta nell’intervista la sua storia di laziale esemplare, sempre presente, sempre positivo. E’ una storia vissuta mano nella mano col padre, uomo dal multiforme talento che si divertiva a scrivere sonetti biancocelesti.
Un paio potete leggerli più sotto.
Ci conoscemmo virtualmente e diventammo subito amici, anche se le sorti di Lazio.net ci divisero, qualche mese più tardi: una rottura tipica, tra laziali, spesso divisi da inimicizie talvolta difficili da spiegare.
Alfonso racconta, durante l’intervista, come ha vissuto quella rottura con il gruppo che rilevò da lui Lazio.net. Io ero dall’altra parte della barricata, e nonostante i nostri rapporti si siano in quel momento interrotti, la stima reciproca non è venuta meno e ci ha consentito di tornare col tempo ad avere ottimi rapporti.
Riporto alla lettera il suo accenno alla vicenda che ci ha diviso, ma è ovvio che la mia visione della vicenda è diversa dalla sua: lasciò Lazio.net in ottime mani, che rilevarono legittimamente il sito per farlo crescere e diventare grande, com’è adesso, nelle salde mani di chi lo gestisce, avendo preso il testimone dopo le sopraggiunte difficoltà a portare avanti il lavoro comune che il nostro gruppo incontrò, con l’evolversi degli eventi. Acqua passata.
Alfonso è un grande esperto di cose biancocelesti e una memoria viva degli eventi dell’ultimo mezzo secolo abbondante di Lazio.
Ha attraversato i suoi momenti duri ed è approdato ad uno stato di felicità che viene fuori prepotentemente…

La prima domanda è la stessa per tutti: come sei diventato della Lazio?
E cosa ricordi della prima volta che sei andato allo stadio?

Bé, come sono diventato della Lazio è un po’ complicato, nel senso che per diventare qualcosa bisognerebbe essere prima stato altro. Da quando mi ricordo, non sono mai stato altro. C’è stato un breve periodo, diciamo verso i 4/5 anni, in cui ero molto interessato ai Lego, ai soldatini e agli album colorati. Quando mio padre mi portò allo stadio la prima volta, la Lazio ha sostituito tutto il resto.

Se vogliamo dare una data precisa a questo innamoramento, un anniversario da festeggiare, potrei risalire ad un Lazio-Lanerossi Vicenza del 20 ottobre 1963. Una Lazio scarsuccia, appena tornata in Serie A, ed ovviamente una sconfitta in casa. Ma non ricordo né il dolore (che si sarebbe riproposto in mille fogge nel futuro), né l’atmosfera dello stadio. Solo le maglie degli avversari, che erano bellissime, bianco-rosse a strisce verticali. C’è mancato poco che diventassi del Vicenza.

Lazio-Vicenza

Ma non c’è stato il tempo. Mio padre andava allo stadio, e – una volta appurato che non avevo avuto crisi di rigetto – semplicemente mi portava con sé. Abitavamo in posizione strategica, esattamente a metà tra l’Olimpico ed il Flaminio, per cui si andava allo stadio a piedi. Scavando nella memoria, mi ricordo più le passeggiate mano nella mano con lui che le partite in se stesse. In silenzio le passeggiate, dato che papà non era un chiacchierone, in silenzio allo stadio. Non mi raccontava aneddoti, non mi parlava dei giocatori, per cui la mia educazione sentimentale me la sono fatta in proprio.

Forse è da questo che è derivata la mia passione per la statistica, il giorno dopo le partite acquistavo (al non modesto costo di 60 lire) la Gazzetta dello Sport, e cominciavo a ritagliare le cronache delle partite, le foto, iniziavo a conoscere le facce e le biografie dei giocatori. Che poi i miei idoli fossero Vito D’Amato (che aveva segnato il gol decisivo nel primo derby vinto, nel 1966) e non Mazzola o Altafini, poco importava.
L’imprinting aveva fatto il suo sporco lavoro. Ero segnato a vita.

Perché sò lazziale

Tu me domanni perché sò lazziale…
e che voj che te dica? E’ ‘na parola,
sarà come er peccato origginale,
ch’uno ce nasce. Quanno annavo a scola

soffrivo sì la Lazzio annava male
e ciavevo er ritratto de Piola
sopra ar letto, tajato dar giornale,
e mo grido Chinaja a squarciagola.

Come, domanni si sò mai cambiato?
Ma guarda che stai annanno fuori pista,
perché, vedi, un cristiano arinnegato

può convertisse e doventà buddista,
ma ancora non s’è mai verificato
che un lazziale doventi romanista.

Enrico Sermonti, 1975


Visto che la passione per la Lazio ti è stata trasmessa in famiglia, mi piacerebbe se parlassi del rapporto con tuo padre in chiave biancoceleste e di quando ti sei sganciato da lui per seguire la Lazio autonomamente anche in trasferta

L’inizio del rapporto calcistico con lui è stato naturale, automatico direi. Ma forse questo inizio privo di pathos ha fatto sì che questa consuetudine durasse tantissimo. Anche quando sono cresciuto, non ho mai immaginato di andare allo stadio senza di lui. Il tempo passava vorticosamente, è arrivata l’università, i primi amori, matrimonio, figli separazioni, i rapporti con papà si sono nel tempo, come è logico, allentati e spesso deteriorati, ma l’appuntamento allo stadio non è mai cambiato. Prima curva, poi Tevere, poi Distinti, ma ad inizio stagione l’abbonamento era irrinunciabile, come la pioggia a Piazza di Siena.

E le trasferte?
I miei amici facevano trasferte da ultras, in pullman o in treno, mio padre invece trovava sempre, casualmente, un appuntamento di lavoro proprio nelle vicinanze del luogo della partita. Anche gli appuntamenti più improbabili. Si partiva il sabato, si pernottava in loco, si perlustrava l’area. Mi ha fatto conoscere l’Italia. Da Bergamo a Brescia, da Foggia a Catanzaro, Pisa, Firenze, Arezzo, Rimini e Campobasso, è quasi più facile elencare uno stadio dove non siamo stati. Il tutto sempre senza parlare, o quasi. Senza esultare smodatamente per i gol, senza maledire arbitri o avversari fallosi, ma tenendo dentro di noi gioie o ferite. Quando vincemmo lo scudetto nel 2000, io impazzito feci per abbracciarlo, e fu un momento di curioso imbarazzo. Ricevette l’abbraccio, ma non sapeva come ricambiarlo…

Forse l’unica volta che l’ho visto accendersi di pura gioia è stato dopo il derby del 1 marzo 2017. Papà era vicino ad andarsene, immerso in una specie di torpore e di lontananza dal mondo. Riconosceva a fatica le persone, si disinteressava dell’ambiente circostante. Ma quando gli ho detto che avevamo vinto, un lampo gli ha attraversato gli occhi spenti, ha aperto il volto in un sorriso e mi ha fatto “Tié”. Forse le ultime parole pronunciate.

Lazio campione

Che gran giorno quer dodici de maggio,
che ar terzo fischio centomila teste
cominciorno ‘no strepito servaggio
e er monno diventò bianco-celeste.

Lazzio! Lazzio! giù tutti all’arrembaggio
attorno ar giocatore a fa le feste,
come formiche su ‘no scarafaggio.
Nun era tifo, era colera, peste!

Poco fa giocavamo in serie Bi,
a fà brutte figure e pijà botte
e mo semo campioni, hai da capì

li canti e strilli fino a mezzanotte.
Che dichi? Ch’è inciovile a fa’ così?
Ma vedi d’annà un poco a fatte fotte!(Enrico Sermonti)


Hai provato a tramandare ai figli la passione che ti ha trasmesso tuo padre?

Provo invidia per i miei amici che vanno allo stadio con i figli, condividono la stessa passione, si scambiano opinioni su questo o quel giocatore, a Natale il regalo più bello è una maglietta di Lulic o di Ciro… Io non ci sono riuscito, almeno non ci sono riuscito appieno. Li ho portati allo stadio, ho cercato di far capire loro che la roma è il Male Assoluto, e almeno su questo aspetto ho avuto successo. Per il resto, però, nessuno dei due si è mai interessato di calcio, e dopo l’inizio, quando hanno potuto scegliere si sono spostati su altri sport. Con alcuni bagliori accecanti, però. Tipo quando mia figlia mi telefonò dopo il derby di Klose dicendomi che era andata a vedere la partita a casa del ragazzo romanista con la maglia della Lazio. Per la cronaca, tra di loro non è durata. Chissà perché.

Mi racconti com’è nata l’idea di Lazio.net? Perché è vero che internet era a disposizione di tutti e si trovava roba fantastica su usenet e altrove, sui BBS, insomma i contenti giravano, ma era tutto testo e roba per smanettoni grigi. L’idea del forum all’epoca era da pionieri, almeno in Italia. Come ti è venuta e come ti sei mosso per iniziare?

Prima di tutto l’idea non è stata mia, almeno non solo mia. Su una BBS (antenata degli odierni forum) avevo conosciuto un ragazzo romano che viveva in Francia, Riccardo. Già in nuce esisteva Lazio.net, ovvero un luogo dove i laziali potessero riunirsi e scambiarsi opinioni ed informazioni. Ma una BBS era un luogo troppo settoriale e ristretto, quindi stavamo pensando di abbandonare il progetto quando il software su cui era basata la BBS andò su internet.

Non voglio esagerare in tecnicismi, ma significa che il forum poteva essere accessibile a tutti tramite un browser. Ci voleva un nome. Avevamo pensato a Lazio.com, ma un fesso di deputato americano, tale Rick Lazio, aveva acquistato il dominio e restò sordo alle nostre richieste di cedercelo, tanto non lo usava.

Era libero Lazio.net (che tra l’altro meglio si sposava con l’idea), ed ecco come è nata. Nelle mie idee c’era di più, un sito del quale il forum fosse solo una sezione, che contenesse la nostra storia e le nostre storie. Io ero (sono) appassionato di statistica, ed ero arrivato ad un bel database che conteneva tutti gli incontri della Lazio e i tabellini.

Fin dall’inizio, però, mi resi conto che era il forum ad avere più successo, anzi era il solo motore del sito. E manco è iniziato facilmente. Mi sono trovato ad inventare una serie di account fasulli, con i quali contribuivo alle discussioni e finivo con litigare con me stesso, pur di creare interesse. E il forum cresceva (siamo a circa 20 anni fa).

A quel punto mi è venuta la malaugurata idea (su cui Riccardo non era d’accordo, e si defilò), ovvero di strutturare il tutto in una associazione culturale, alla quale invitare a far parte le menti più brillanti (non conoscevo nessuno dal vivo, solo attraverso i loro scritti), e anche a contribuire alle spese, dato che i costi di manutenzione erano saliti, e nel contempo era aumentato l’impegno mentale e temporale da parte mia.

L’entrata di forze nuove in Lazio.net provocò un curioso e sgradevole fenomeno. I nuovi entrati, come primo atto, brigarono neanche troppo velatamente per estromettermi dal sito e assumerne il controllo. A quel punto (dato che il dominio era mio), avrei potuto riassumerne il controllo e ricominciare come prima.

Da un canto, però, c’era la delusione umana, dall’altro la consapevolezza che non avrei potuto continuare ad andare avanti da solo. Quindi decisi di mollare. So che Lazio.net, nelle nuove mani, passò un brutto periodo di epurazioni e di abbandoni, ma a quel punto non era più affar mio. Sono ritornato sul sito solo di recente, da utente ed un nuovo nickname, una volta verificato che il tutto era tornato in buone mani. Ma nulla più. Ora mi è venuto a noia anche scrivere…

Raccontami di una trasferta che ti è rimasta impressa.

Di trasferte ne ho fatte un’infinità, sia con mio padre sia – in maggioranza – da solo o con un paio di fidati amici. Alcune assurde, come quando decisi di colpo di andare a vedere un Bologna-Lazio di coppa Italia, mi misi in macchina nel pomeriggio per tornare a Roma a notte fonda, oppure quando presi il treno a Civitavecchia, fuggendo dal matrimonio di mio zio a Santa Marinella, per andare a vedere Juve-Lazio (per la cronaca, finì 4-0, con tre gol – credo – di Altafini nel finale).

Quella che ricordo con maggior simpatia fu a Como, quando ci giocavamo la salvezza all’ultima giornata, nel 1976. In quattro con la Dyane, una notte in auto guidando a turno, arriviamo a Como e la troviamo invasa da una marea biancoceleste (le cronache ne danno circa diecimila). Stadio gremito, anche perché il Como aveva un’esile speranza di salvezza. Ci troviamo nel baratro dopo una ventina di minuti, 0-2 ed un Everest da scalare. Poi Giordano e Badiani la portano in parità. Cerchiamo la vittoria, che significava salvezza sicura, ma il risultato rimane sul 2-2.

E allora, alla fine, tutti dietro la panchina della Lazio, aspettando i risultati dell’Ascoli (non c’era internet, né i cellulari, l’informazione arrivava solo dal Calcio Minuto per Minuto). Poi, il boato.

Maestrelli alza le braccia al cielo. I giocatori si abbracciano. Impazzisce la curva, con le Alpi e non Monte Mario da sfondo, ma compatta e fedele come all’Olimpico. E poi, toltoci quel macigno dal cuore, un corteo improvvisato e festante per le vie sbigottite della città. Più o meno le stesse sensazioni rivissute undici anno dopo a Napoli, stesso baratro, stesso Everest scalato. Stessa gioia da bambini, pura ed incontaminata.

Ci sono stati pure amari e tristi ritorni dopo batoste anche sonore, muti ed ingrugnati a guardare fuori dal finestrino mentre il tempo non passava mai, rivivendo nella mente i gol subiti e le occasioni mancate, senza manco la voglia di una partita a carte, ma perché ricordare quei momenti, dopo esser stati a Como, Napoli, Birmingham e Stamford Bridge?

Come ti cambia la vita quando trovi una compagna che condivide con te la fede sportiva?

Cambia tutto. Ed è bellissimo. Laddove prima uscivi di casa tra la riprovazione muta per un pomeriggio saltato, oppure partivi la domenica mattina per andare, che so, a Catanzaro o ad Udine, ora c’è condivisione ed emozione comune, quando sfogliamo il calendario.

Lei non è folle come me, per fortuna, e di trasferte non ne facciamo, ma andare assieme allo stadio mano nella mano, con ogni clima (anche se lei ogni tanto brontola perché andare a vedere un sedicesimo di Europa League con una squadra ucraina alla nove di sera di febbraio, insomma, non è il massimo della vita), è un’esperienza unica.

Ragazzi, quando scegliete una compagna fate attenzione alla squadra per cui tifa. E’ essenziale per un rapporto ben riuscito. Il bacio dopo un gol nel derby vale mille baci sotto la Tour Eiffel o in qualsiasi altro posto romantico del mondo.

Presto le chiederò di sposarmi. Lo sfondo, quando mi inginocchierò come di prammatica per sperare nel fatidico sì, garantito, saranno i Distinti Est.