Il calcio si ribella alla SuperLega

Le immagini delle tifoserie in rivolta (almeno quelle inglesi: la sportività abita lì) sono la risposta più bella che il calcio riserva all’arroganza dei presidenti-cospiratori che hanno messo in piedi lo scintillante baraccone della Superlega, che s’avvia a morte ingloriosa a un paio di giorni dalla nascita notturna, manco fosse un fungo velenoso di quelli che ti dicono mangiami e poi muori.

L’arroganza di Florentino Perez, la doppiezza di Andrea Agnelli, la presunzione di chi credeva di poter incarnare un movimento che innerva l’intero pianeta, scompaiono miseramente davanti alla reazione veemente delle istituzioni del Football e al deciso rifiuto dei tifosi.

Così si scopre che i miliardi degli sponsor non sono tutto, mentre già si sapeva, quasi tutti, che se esiste il Real Madrid è per merito del calcio e non è affatto vero il contrario. Alla faccia dell’ingordigia di dodici club che di super hanno, molti, la bacheca, ma anche, tutti, l’indebitamento mostruoso, solo in parte dovuto ai rovesci imprevedibili della Pandemia.

Ingaggi folli, spese fuori controllo, voglia di far pagare il conto ai più piccoli, sostenendo che la salvezza del calcio passa per il ventre gonfio dei superclub che si sfidano in diretta a reti unificate in un superclasico a settimana.

Tutti insieme in una sporca dozzina che associa superblasonati e superindebitati, club di tradizione antica e di recente arricchimento. Stupiva lo stare fuori dal gruppo del PSG, che passa per essere il più posticcio dei grandi nomi del calcio europeo, ma esce benissimo dalla circostanza e si lancia verso l’agognata Coppa dalle Grandi Orecchie, che Eupalla non potrà negargli, per favorire le manacce avide del Real Madrid.

La reazione delle autorità, che hanno minacciato pesanti sanzioni, dei tifosi e degli altri club, soprattutto di quelli inglesi, ha dato il via alle defezioni: le sei inglesi, chi prima chi dopo, si stanno sfilando, facendo naufragare il progetto, accolte a braccia aperte dall’UEFA, figliolanza prodiga che lascia le altre allo scoperto.

Facile prevedere che l’afflosciarsi del progetto induca al dietro front tutte le altre, non foss’altro che per mettersi al riparo dall’ira funesta di Ceferin. Certo che più di qualcuno si meriterebbe una lezione di quelle sonore, soprattutto tra i tifosi che non hanno perso l’occasione per irridere chi dal megaprogetto restava fuori.

Beghe di secondo piano, tra social e calcio-pollaio, che possono trovare asilo giusto da noi, dove si sa che il fair play non ha mai attecchito. Se salta il banco lo sfottimento sarà un boomerang e i tre superclub gireranno accompagnati dalle sonore pernacchie degli altri, salvo consolarsi con i facili trofei e le regole aggirate a comando, in barba all’equità delle competizioni, e tutto il corollario del calcio malato che conosciamo.

La frontiera, però, in questo caso, è apparsa, bella solida: oltre un certo limite non è lecito andare. Se c’è un miliardo di asiatici che comprano questo prodotto non riuscendo a distinguere una Lazio da un Manchester City, c’è anche una realtà che rifiuta di riconoscersi in eventi creati ad arte ad uso e consumo del pubblico televisivo, e pretende di assistere a uno spettacolo sportivo dove chi sta in campo sia riconoscibile e riconducibile a una precisa geografia calcistica, scolpita nella pietra da più di un secolo di storia.

Non c’è Florentino Perez che tenga: i miliardi non comprano la voglia di correre dietro a un pallone dei bambini di tutto il mondo, che costituisce la base di un movimento che è vivo nei campetti di periferia, che racconta le palle di stracci delle favelas e le glorie dei Garrincha e dei Maradona che lì sono nati e cresciuti e che hanno scritto la storia del calcio, spesso sfidando la boria dei superricchi che credono di poter essere padroni di una passione.

Il calcio è di chi lo gioca. Il calcio è dei tifosi. C’è calcio oltre il Real Madrid, il Barcellona, la Juventus, l’Inter, il Milan. Una finale di Champions League tra Leicester e Porto sarà sempre un evento planetario. E i cinesi la guarderanno a miliardi, senza riuscire a distinguere l’una dall’altra, visto che hanno gli stessi colori. Se poi vai a chiedergli della Superlega e di Florentino Perez ti risponderanno: Flolentino chi?

La palla, intanto, rotolerà felice, al comando dei miliardi di piedi che la calceranno.

Arrivederci, Champions League

Una buona Lazio si congeda dalla Champions League con una sconfitta di misura in casa del Bayern campione del mondo e detentore della Coppa. Una partita giocata con puntiglio, per dimostrare che la disavventura dell’andata non rendeva giustizia al valore della squadra. Il Bayern ha alternato momenti di forte intensità con qualche pausa, la Lazio si è proposta in attacco soprattutto all’inizio, con buone trame, cercando una circolazione di palla rapida per non incappare nel feroce pressing avversario. I bavaresi, in vantaggio al 33′ su rigore realizzato da Lewandowski e concesso dall’arbitro per un fallo abbastanza veniale di Muriqi su Goretzka, una trattenuta che si vede spesso in azioni da corner, hanno accelerato nel finale del primo tempo e hanno esercitato una maggiore pressione nella ripresa, man mano che la Lazio perdeva brillantezza. Raggiunto il raddoppio con Choupo-Mouting, in una delle rare occasioni concesse da una difesa laziale più attenta del solito, i tedeschi hanno subito il ritorno della Lazio, che ha trovato il gol con un bel colpo di testa di Parolo su prezioso cross, su punizione, di Pereira. Qualche buona occasione non sfruttata da Correa, Milinkovic, Acerbi, qualche buona parata di Reina, un ottimo Marusic a fare la guardia su Lewandowski e una prestazione confortante, con la soddisfazione del gol per il solito, impagabile Parolo. Si lascia la massima manifestazione Europea dopo una buona prestazione sul campo della squadra più forte. Nel bilancio della Lazio una qualificazione bellissima, ottenuta in condizioni di assoluta emergenza, e un sorteggio proibitivo che ha impedito ai biancocelesti di nutrire speranze di andare oltre gli ottavi, offrendo, comunque, un contributo più che dignitoso allo spettacolo. Una squadra degna del massimo palcoscenico, che ora deve fare il massimo per rimanere nell’Europa che conta.

Il Bayern boccia la Lazio

Doveva essere una partita da giocare con la massima concentrazione, cercando di non commettere errori: la Lazio ha confezionato in proprio tre dei quattro gol del Bayern e rimedia una sonora lezione che la ridimensiona, inadatta al confronto con un avversario di levatura assoluta.

Difficile capire se si sia trattato di un approccio sbagliato, dell’emozione per un confronto così importante, della pressione insostenibile dell’avversario o che, ma è evidente che i biancocelesti hanno subito in ogni reparto, soprattutto nel primo tempo.

Non hanno saputo misurarsi col proverbiale pressing alto dei bavaresi, per evidenti limiti tecnici dei difensori, ma hanno faticato anche quando sono riusciti, bene o male, a superare la prima resistenza tedesca, non riuscendo a costruire gioco, facendosi trovare spesso in fuori gioco, concludendo in modo poco convinto quando si è presentata l’occasione.

Il Bayern ha sfruttato gli errori della Lazio, facendo in modo di provocarli. La Lazio ci ha messo, però, del suo, e rimane il rimpianto, oltre che per il rigore non concesso per un fallo di Boateng su Milinkovic, sullo 0-1, anche per non aver giocato con il giusto piglio la partita. Gettare la croce sui singoli, Musacchio e Patric su tutti, non basta.

La discreta prestazione nella ripresa mitiga solo in parte la sconfitta, che è una bocciatura solenne, non riparabile al ritorno, per le proporzioni. S’imporrà, però, una prestazione d’orgoglio. Doveva essere una serata di festa e un’occasione di crescita: da festeggiare c’è poco, si potrà imparare dai grossolani errori fatti, se non altro cercando di non ripeterli a Monaco.

Una sconfitta che va dimenticata in fretta, per ripartire di corsa in campionato. Perché per tornare sul palcoscenico della Champions, l’anno prossimo, ci vorrà un’impresa, nella speranza di mostrarsi all’altezza della competizione. Positivi, comunque, Marusic, Lazzari, Correa (bel gol), qualcosa di Milinkovic e di Luis Alberto, poco Immobile, Acerbi affannato, Leiva in chiara difficoltà, Hoedt, Patric e Musacchio non all’altezza dell’impegno, l’argentino forse non ancora in condizione, mentre Lulic comincia a entrare in forma. Bene Reina, anche lui però con molti errori in disimpegno, entrato bene anche Escalante.
Passare oltre.

Lazio-Bayern 1-4 (0-3)

LAZIO (3-5-2): Reina; Patric (53′ Hoedt), Acerbi, Musacchio (30′ Lulic); Lazzari, Milinkovic-Savic (81′ Cataldi), Leiva (53′ Escalante), Luis Alberto (81′ Akpa Akpro), Marusic; Correa, Immobile. A disposizione: Alia, Caicedo, Fares, Muriqi, Parolo, Pereira, Strakosha. Allenatore: Inzaghi.

BAYERN MONACO (4-2-3-1): Neuer; Süle, Boateng, Alaba, Davies; Kimmich, Goretzka (63′ Martinez); Sané (89′ Sarr), Musiala (89′ Choupo-Moting), Coman (75′ Hernandez); Lewandowski. A disposizione: Hoffmann, Roca. Allenatore: Flick.

ARBITRO: Grinfeld (Israele)

MARCATORI: 9′ Lewandowski (B), 24′ Musiala (B), 42′ Sané (B), 47′ aut. Acerbi (B), 48′ Correa (L)

NOTE: Ammoniti Luis Alberto, Leiva, Correa, Marusic, Escalante (L); Kimmich, Coman (B)

 

L’attesa infinita

Certe giornate non passano mai. Anche se quella di oggi non è di quelle giornate definitive, quelle che non ci dormi la notte prima, che stai tutto il giorno con la testa lì, che ti senti nelle ossa le cose che stanno per capitare.
Non si può mica spiegare a chi non è tifoso. Ma l’importanza dell’evento mica la sentono tutti: per esempio certa stampa che dovrebbe essere specializzata, quella con la carta rosa che una volta era la bibbia degli sportivi, nell’edizione web scrolla scrolla la partita tra Lazio e Bayern viene dopo chiappe e mutande di improbabili fidanzate di misconosciuti campioni. Va così, c’è chi fa notizia e chi no, e poi c’è chi viene sbattuto in prima pagina solo quando c’è da rifilargli qualche palata di fango, meglio se nel quadro di qualche giochino di potere.
La notizia di oggi, comunque, stando al prato verde, siamo noi.
Viene da chiedersi che stadio sarebbe, se ci si potesse accedere. E anche quanti soldi abbiamo perso per colpa del virus, giocando una Champions senza pubblico, oltre al campionato. Anche lì, c’è chi il problema se lo pone e lo risolve e chi no: l’Inter fugge in campionato e rinvia a dopo lo scudetto gli stipendi di novembre e dicembre, quando la regola vorrebbe che chi non rispetta i parametri economici/finanziari paga pegno sotto forma di punti di penalizzazione. Regola derogata ad uso e consumo dei soli interisti, e mi ricordo di quando il genio di Elio cantava di un campionato falsato.
Ognuno se la canta e se la suona come vuole, perciò. Stasera si gioca, la Lazio si misura con la squadra più forte del mondo, quella campione di tutto, quella che ha segnato 8 gol in una partita al Barcellona. L’orologio a guardarlo non si muove, è come l’acqua nella pentola che non bolle mai. Ci aspetta una serata di gala: che peccato non poter essere allo stadio.

 

Contro il Bayern per imparare a vincere

30 Campionati tedeschi
20 Coppe di Germania
8 Supercoppe di Germania
6 Coppe di Lega tedesca
6 Coppe dei Campioni/Champions League
1 Coppa delle Coppe
1 Coppa UEFA
2 Supercoppe europee
2 Mondiali per club
2 Coppe Intercontinentali

Totale: 78 (settantotto) trofei.

Questo è l’avversario che affronterà la Lazio nella sfida degli ottavi di finale di Champions League. Nel ciclo attuale: campioni di Germania dal 2012/2013 a oggi, senza interruzione; detentori della Champions League, del Mondiale per club e della Supercoppa Europea.

Negli ultimi anni si è sempre detto che la qualificazione alla Champions League vale meno di un trofeo, perché non la si può esporre in bacheca come una coppa scintillante.
Però è vero che certe occasioni abituano ai confronti di alto livello, necessari, poi, a trovare le risorse per mettere nel mirino un grande obiettivo, che può essere uno scudetto o una partecipazione importante a una Champions League.

Per intenderci, almeno un quarto di finale, traguardo che raggiunse la Lazio di Eriksson, allora accreditata tra le favorite per vincere la Coppa, che incappò in una serata storta al Mestalla di Valencia e finì per uscire dalla competizione con grandi rimpianti.

Era un momento in cui le squadre italiane arrivavano con facilità a giocarsi le maggiori competizioni europee. Non succede più da anni, visto che i superclub ricchissimi, quelli tradizionali e quelli nuovi,  hanno monopolizzato i grandi tornei europei, ma spesso è capitato di vedere nelle fasi finali del torneo squadre di cilindrata simile a quella della Lazio.

Giocare questa gara col Bayern, insomma, va al di là della competizione per la qualificazione: il pronostico è chiuso, ma proprio per questo la Lazio potrà giocare senza particolare tensione, sapendo che tutto quello che verrà di buono sarà oro colato, e che l’esperienza fatta sarà già un arricchimento fondamentale per il curriculum di tutti quelli che saranno in campo.

La sconfitta in campionato con l’Eintracht dice che i bavaresi sono esseri umani.
In Champions forse giocheranno con più forza e concentrazione, ma sono i primi a esprimere rispetto per le qualità della Lazio, come ha fatto il solito Miro Klose, campione di fair play oltre che fuoriclasse in campo.

Proprio l’aver avuto Klose in biancoceleste dimostra che la Lazio può ambire a stare su certi palcoscenici, se non per ricchezza o per blasone internazionale almeno per l’ottima gestione sportiva degli ultimi trent’anni. Una squadra ormai abituata all’Europa, che punta a piantare le tende nell’Olimpo della Champions League.
Lazio-Bayern, perciò, deve essere un principio, un passaggio di avvicinamento, un capitolo di una storia ancora tutta da scrivere.

 

La Champions League dei laziali

La Champions League di quest’anno è piena come non mai di vecchie conoscenze laziali, sparse in ben 6 squadre ancora in corsa negli ottavi di finale. Con la Lazio fanno 7.

Uno di loro l’ha vinta sul campo, privilegio toccato anche a Tassotti (tre volte), Nesta (due volte), Oddo e Favalli  col Milan, a Michael Laudrup col Barcellona e a Stankovic e Pandev con l’Inter. Si tratta di Karl-Heinz Riedle, oggi dirigente del Borussia Dortmund, che mise a segno una fantastica doppietta nella finale vinta (1997) contro la Juve, in cui giocava un ex laziale (Boksic, già vincitore della Coppa a Marsiglia) e due futuri biancocelesti, Jugovic, che già aveva vinto la Coppa con la Stella Rossa, insieme a Mihajlovic, e Vieri.

In parecchi ci sono andati vicini, perdendo in finale. Il più titolato è il Cholo: Simeone, un palmares spaventoso di trofei vinti, ha perso da mister dell’Atletico due volte in finale, sempre contro il Real Madrid. Quest’anno ci riprova, sempre alla guida dei Colchoneros. Anche Miro Klose ha perso la sua chance, finalista battuto dall’Inter di Mourinho. Oggi è il vice allenatore del Bayern che si accinge ad affrontare la Lazio. La Champions persa nella Samp è rimasta, per Roberto Mancini, il massimo rimpianto di una carriera ricca di soddisfazioni. Con lui in campo, quel giorno, anche Attilio Lombardo e Renato Buso. Mancio e Lombardo saranno laziali, Buso era già un ex. Flavio Roma, campione d’Italia primavera con nesta e Di Vaio, perse la finale difendendo la porta del Monaco contro il Porto di José Mourinho.

Ieri sera Sergio Conceiçao ha guidato proprio il Porto alla vittoria contro la Juve. In panchina sedeva un malinconico Felipe Anderson, che vede il campo di rado. Nella Juve sconfitta, oltre a Nedved, Vicepresidente, siede in panchina Roberto Baronio, talento sempre in procinto di sbocciare e alla fine appassito in molte Lazio del terzo millennio. Fa l’assistente di Pirlo.

Un altro, ricordato per un episodio risalente al 1997, è Carlo Cudicini. Ha giocato una sola partita nella Lazio, ma è rimasta viva nella memoria dei tifosi: giocò contro il Cagliari e si infortunò gravemente, rimanendo a difendere la porta con una lesione ai legamenti di un ginocchio. Anche lui ha perso in finale, due volte, col Milan e col Chelsea, ma era sempre in panchina. Oggi è nello staff del Chelsea.

Simone Inzaghi completa il gruppo degli ex illustri in lizza. Lui è rimasto alla Lazio, con qualche temporanea migrazione, e ha conosciuto, da compagno o da avversario, la gran parte degli ex che abbiamo citato. Proverà a giocarsi le sue carte contro il Bayern campione di tutto, perché quest’anno siamo nella massima competizione europea non soltanto con gli ex.

Bayern Monaco, la sfida più difficile

La Lazio ha pescato il Bayern Monaco.
Abbinamento di superprestigio: i bavaresi sono i detentori della Champions League.
Questo, per brevità, il loro palmares:

3 Champions League
3 Coppe dei Campioni
1 Mondiale per Club
2 Coppe Intercontinentali
1 Coppa delle Coppe
1 Coppa UEFA
30 volte campione di Germania
20 Coppe di Germania

Giocatori insigniti del pallone d’oro:
Gerd Muller (1970)
Franz Beckenbauer (1972, 1976)
Karl-Heinz Rummenigge (1980,1981)

Inutile dire che si tratta di un confronto proibitivo, ma anche le altre 5 possibili avversarie sarebbero state ostacoli molto difficili da superare.

La Lazio non ha mai affrontato il Bayern in competizioni internazionali. L’unico precedente è l’amichevole giocata all’Olimpico nell’agosto del 1974, prima uscita in casa con lo scudetto sul petto, finita 1-1 contro i tedeschi, anche allora detentori della Coppa dei Campioni, con in campo Maier, Schwarzenbeck, Beckenbauer, Hoeness e Muller freschi vincitori del mondiale 1974, battuta in finale l’Olanda di Cruijff.

I monacensi dovranno giocare la fase finale dei mondiali per club in Qatar, in programma all’inizio di febbraio, con finale l’11: due gare ravvicinate, semifinale e finale, per poi affrontare i biancocelesti all’Olimpico il 23. Ritorno in Germania il 17 marzo.

Il Bayern è allenato da Hans-Dieter Flick, nel cui staff figura l’amatissimo ex biancoceleste Miro Klose, come vice allenatore. La squadra gioca con un modulo 4-2-3-1.
Capitano è il leggendario Neuer, punto di forza della Germania campione del mondo nel 2014 in Brasile, insieme a Boateng e a Thomas Muller.
Nazionali tedeschi anche Goretzka e Kimmich, centrocampisti, Sané e Gnabry, due attaccanti esterni che abbinano tecnica e velocità. L’attacco è guidato da Robert Lewandowski, UEFA best player 2020, plurititolato campione polacco, battuto da Ciro Immobile nella corsa alla scarpa d’oro 2020.
Poi Davies, Alaba, Hernandez, Coman, vecchia conoscenza del campionato italiano, eccetera.

Un assortimento di campioni per due serate di gala in cui la Lazio dovrà dare il meglio per non sfigurare. I tifosi, memori delle numerose larghe vittorie recenti del Bayern, hanno preso con ironia il sorteggio: ci si augura di non emulare la Roma, che con i tedeschi subì uno dei suoi famosi 1-7, tra le mura amiche. La Lazio sa dare il meglio quando lo stimolo è forte, se si batterà al meglio non dovrà temere sconfitte mortificanti. La priorità, intanto, è il Benevento…

La terribile urna

Adesso viene il bello.
Lunedì 14 dicembre, a mezzogiorno, sapremo chi ci toccherà affrontare negli ottavi di finale.
Sono sei nomi che mettono paura: Chelsea, Liverpool, Paris San Germain, Manchester City, Real Madrid, Bayern Monaco, in rigoroso ordine crescente di ranking UEFA.

Il Chelsea di Blue is the colour l’abbiamo affrontato ai tempi di Cragnotti e non rappresenta una novità. Una vittoria storica a Stamford Bridge, in rimonta con gol di Simone Inzaghi e Sinisa Mihajlovic, ci regalò i quarti di finale di Champions League nel 2000. Resta l’unica, perché nei due match casalinghi la Lazio ha ottenuto uno 0-0 e un brutto 0-4, nel 2003, con Mancini in panchina ed Hernan Crespo in gol da ex. Un classico. Persa (1-2) anche l’altra battaglia londinese.

Del Liverpool i tifosi laziali serbano ricordi piacevoli legati alle numerose sconfitte inflitte alla Roma.
La Lazio ha affrontato il Liverpool in due amichevoli estive, entrambe disputate ad Anfield Road: una vinta e una persa, stesso risultato di 1-0, la vittoria firmata da Cesar, nell’estate 2002, Banda Mancini in rodaggio.

Col Manchester City la Lazio condivide i colori sociali. Unico confronto un’amichevole estiva, disputata all’Etihad Stadium e persa (3-1) nell’estate 2004, in una delle primissime uscite della Lazio lotitiana. Con i Citizens giocava Anelka, protagonista di un’infuocata telenovela estiva di mercato ai tempi di Cragnotti. Al tempo in cui la Umbro era sponsor tecnico della Lazio leggenda vuole che il City abbia giocato una gara di campionato con le maglie laziali sponsorizzate Banca di Roma, per un disguido nelle consegne.

Mai affrontato il Paris Saint-Germain.

Molto combattuti i precedenti col Real Madrid, affrontato nella Champions 2000-2001, con sconfitta rocambolesca a Madrid (3-2) e pareggio all’Olimpico (2-2), in una serata magica di Castroman.
Nel 2007 la Lazio di Delio Rossi giocò una grande gara all’Olimpico, bissando il 2-2, ma perse nettamente al Bernabeu (3-1). Due volte la Lazio ha prevalso ai rigori in altrettante amichevoli estive disputate in Spagna, contro una sconfitta, sempre ai rigori, patita in casa.

I campioni in carica del Bayern, infine, furono invitati per il gran gala dello scudetto 1974: esclusa dalle Coppe Europee per gli incidenti seguiti alla gara di Coppa UEFA contro l’Ipswich, la Lazio si consolò con l’amichevole di lusso giocata contro i bavaresi, anche allora freschi di conquista del massimo trofeo europeo e, molti di loro, campioni del mondo con la nazionale che nel ’74 batté la Grande Olanda. Finì 1-1, con Franzoni a pareggiare, nel finale, il gol iniziale di Schwarzenbeck, regalandosi una serata da raccontare ai nipoti.

Comunque vada sarà durissima, ma la Lazio si è guadagnata sul campo questo onore.
(dati da Laziowiki e Laziopage)