Se il Palazzo è ostile

 

 

 

 

 

 

Stupisce il comunicato ad personam fatto dalla Lega, a rimbrottare Maurizio Sarri per la sua (sacrosanta) lamentela sul recupero troppo breve concesso alla Lazio, che giocherà l’anticipo domenicale all’ora di pranzo, dopo aver concluso l’incontro con la Lokomotiv appena 61 ore prima.

Si stupisce, la Lega, della mancanza di conoscenza del regolamento da parte dell’allenatore biancoceleste: 48 ore sarebbero più che sufficienti a recuperare l’impegno, stando ai regolamenti, e pazienza se l’avversario ha avuto una settimana per prepararsi. La trasferta bolognese, in fin dei conti, non è la più disagevole.

Si rimane perplessi per più motivi: la Lega, infatti, oltre a puntualizzare che altri non precisati club anticiperanno a novembre (forse si riferiscono alla roma, ma il fatto che penalizzino anche altri non toglie l’ingiusto svantaggio per la Lazio ), ricorda a Sarri di aver già assaggiato i recuperi-lampo in Premier League, come se fosse un argomento sostenibile: magari Sarri potrebbe aver protestato anche in quell’occasione, oltre al fatto che sembra il minimo che un allenatore possa esprimere perplessità sull’organizzazione del calendario della sua squadra.

Anche perché il tutto si fa per non guastare l’appetito degli italiani, pronti a gustarsi un succulento posticipo Atalanta-Milan che si poteva programmare la sera prima. Le due squadre, impegnate in Champions League, avrebbero avuto un recupero lungo almeno tre giorni, se avessero anticipato a sabato, quando è programmato un Sassuolo-Inter che poteva benissimo aver luogo la domenica a pranzo, agevolando una delle tre squadre impegnate il giovedì (Napoli e roma giocheranno alle 18 di domenica). Senza contare il lunedì, che però è lasciato a disposizione di Mancini per l’impegno della nazionale.

Tutto questo dopo che la Lazio è stata costretta a giocare la trasferta precedente a Torino con due giorni di recupero in meno, e in tanti si stupivano della poca tenuta atletica dei biancocelesti al cospetto degli scatenati granata. Te credo. Quindi giochiamo gare ravvicinatissime tra campionato e Coppe e la Lega si diverte a ravvicinare ancora di più gli impegni che abbiamo, rispetto alle avversarie. Grazie, Lega.

Nell’arco di una stagione forse le asprezze del calendario si compenseranno, o forse no. Quello che stona, mentre da giorni va in onda lo sconcio teatrino delle recriminazioni giallorosse post derby (a proposito, la multa di Zaniolo come si concilia con la squalifica di Vavro a Firenze, per gesti molto meno volgari?), è che sembra ci sia una comunicazione personalizzata, che sottolinea pesantemente, con un tratto di penna, quello che c’è da dire alla Lazio. Lo stesso non sembra accadere con altri, e resta accesa la spia dell’allarme “politico” che riguarda Lotito e le beghe interne a Lega e Figc.

A proposito, riprende la comunicazione mirata della stampa Cairota, mentre è di oggi la querelle tra Lotito e Gravina a margine del Consiglio federale, che si aggiunge alla severa squalifica di Sarri seguita a Milan-Lazio, per situazioni messe a referto da Chiffi, appena promosso a internazionale (un premio che pare un solenne encomio), dopo un arbitraggio discutibile, suscitando la veemente reazione del mister laziale, pronto a far valere i propri diritti in altra e più equilibrata sede.

Non si tratta mica di un complotto, solo di piccoli sgarbi, ripetuti e continuati, che vanno ad aggiungersi a un quadro complessivo che sembra vedere qualcuno nel mirino. Che siano lotte di palazzo, ripicche tra correnti o che, sembra proprio che ci vada di mezzo la Lazio.

E mica ci sta bene, per non citare la ritrita massima andreottiana, che penne poco degne di rispetto scomodano oggi a chiudere l’ennesimo fazioso e sguaiato editoriale antilaziale.

Zaccagnate di mercato

Lotito e Tare ph: Fornelli/Keypress

Si è chiuso il mercato estivo col solito tormentone in salsa biancoceleste: l’esterno offensivo richiesto da Sarri è arrivato sul filo di lana, anche se Zaccagni, il prescelto, non è del ruolo al 100%, ma è comunque un eclettico, che può tornare buono anche in altre posizioni. Sfumata all’ultimo la trattativa per Kostic, con retroscena comici: la storia dell’email sbagliata, comunque la si guardi, rivela un atteggiamento quantomeno troppo rilassato rispetto a tempi e scadenze del mercato e una certa superficialità nella gestione della trattativa: la chiusura del club tedesco, legittima, avrebbe potuto, conosciuta per tempo, garantire spazi e margini di manovra diversi sul fronte Zaccagni o su altri alternativi.

Così si esce bestemmiando da una sessione che poi, di fatto, ha accresciuto la qualità e la disponibilità della rosa, anche se non ha posto rimedio ad alcune mancanze, soprattutto nell’organico difensivo, che potrebbero creare problemi con la massa di impegni che attende la squadra, soprattutto nella parte iniziale di stagione.
Potenza e guasti del proverbiale procrastinare biancoceleste.

La Lazio sembra in grado di competere su tutti i fronti, ma solo se vince alcune scommesse: il recupero di Felipe Anderson al calcio di alto livello, la tenuta di Pedro nell’arco della stagione, l’adattamento di Lazzari al ruolo di terzino-terzino, l’inserimento di Zaccagni e Basic, la tenuta di una difesa un po’ fragile numericamente, i dubbi sulla qualità residua di Reina come portiere. Forse sono troppe variabili, ma c’è tempo per mettere a punto un motore che sembra potenzialmente in grado di fare faville.

Per il momento la squadra può accontentarsi del ruolo di mina vagante del campionato, in attesa di sapere se c’è modo  di aspirare a qualcosa di più, magari nelle Coppe. Sarri predica divertimento: proprio la ricetta che Mancini ha usato per prendersi l’Europeo.
E in tempi di pandemia divertirsi mica è poco…

Lazio show

La Lazio festeggia il ritorno all’Olimpico con una prestazione eccezionale, travolge lo Spezia con un tonante 6-1 e si prepara alla sosta: un avvio di stagione quasi perfetto, a punteggio pieno dopo la sicura vittoria di Empoli. Proprio il bel successo dei toscani sul campo della Juventus dà più valore alla partenza sprint dei biancocelesti, che hanno trovato subito belle trame di gioco, valorizzando la qualità dei singoli, ancora elevatissima nonostante l’addio a Correa, celebrato in settimana.

Ieri il Tucu aveva segnato una doppietta nell’esordio in nerazzurro a Verona, alimentando qualche rimpianto, subito scacciato via dalla scintillante prova di tutto il tridente d’attacco, ispiratissimo contro lo Spezia, con tre gol di Ciro Immobile, che sbaglia un rigore e si prende gioco delle critiche piovutegli addosso per le prestazioni in nazionale, piaciute solo a Mancini, il ritorno al gol in biancoceleste di Felipe Anderson, dopo due stagioni buttate tra West Ham e Porto, e una prestazione che fa ben sperare sul suo recupero ad alti livelli, più la conferma di Pedro, acquisto discusso non certo per il valore del giocatore, quanto per la sua provenienza diretta dalla sponda giallorossa del Tevere.

Sarri fa il pompiere: sono solo due partite riuscite bene, l’assimilazione del suo impianto tattico procederà in modo non lineare, arriveranno le giornate difficili. Non c’è dubbio, calendario alla mano: dopo la sosta la Lazio è attesa da due test importanti, fuori casa contro Milan e Galatasaray in rapida successione. Ma si possono guardare con fiducia, mentre si attendono gli ultimi movimenti di mercato.

La Lazio deve completare l’organico aggiungendo un esterno e, si spera, un difensore. La sensazione è che la squadra abbia lavorato bene in estate, con l’entusiasmo portato dal nuovo mister che ha ribaltato lo stato d’animo dei tifosi dopo lo spiacevole addio di Inzaghi, scappato verso l’Inter dopo essersi promesso a Lotito.

La Lazio ne esce rinforzata e rinnovata nello stare in campo, recupera velocità di pensiero e qualità tattica, esalta le virtù dei suoi solisti: la prestazione di Luis Alberto contro lo Spezia, al termine di un periodo di stupide chiacchiere su un suo presunto difficile rapporto con Sarri, è la dimostrazione di quanto di buono il tecnico toscano potrebbe ricavare da una rosa che rimane di qualità elevatissima, per quanto ancora migliorabile.

Un campionato che parte con grossi punti interrogativi che riguardano le solite favorite va affrontato senza lasciare niente al caso. Le scelte ambiziose della Società possono portare la Lazio a competere su tutti i fronti, ma sarebbe importante mettere a disposizione del tecnico ancora un paio di alternative di qualità, aspettando di conoscere le reali potenzialità di Basic, appena aggiunto al gruppo con un buon curriculum.

La lunga estate calda, intanto, si avvia alla fine. Abbiamo salutato, dopo gli svincolati Lulic e Parolo, anche Inzaghi e Correa, e ancora, proprio nelle ultime ore, Felipe Caicedo. Addii dolorosi. Si aggiungeranno quelli dei comprimari: dopo Hoedt e Pereira saluterà anche Fares, insieme alla pattuglia dei salernitani e a Vavro.

Una stagione che ha visto Lotito lasciare in mani “terze” l’affare-Salernitana e adoperarsi per sbloccare l’indice di liquidità con un intervento finanziario personale. Un mercato prima bloccato, poi partito con dei colpi sensazionali: l’arrivo di Pedro dalla Roma su tutti, dopo decenni dall’ultimo passaggio diretto di un calciatore tra le due squadre. E il fatto ha scandalizzato più di qualcuno, passando in second’ordine il valore del calciatore, al termine di una carriera che ha pochi eguali in Europa.

I sentimenti feriti dagli addii di alcuni beniamini hanno trovato consolazione nel ritorno di Felipe Anderson, che gode dell’affetto incondizionato dei tifosi. Il talento messo in mostra dai cuccioli Romero e Raul Moro aumenta l’attesa per una stagione che promette divertimento. Nel nome di Sarri, che è la vera rivoluzione dell’estate laziale.

Sarriball s’è già vista all’opera, e sembra proprio calcio champagne.
E quindi brindiamo. Alla salute.

Caro Hysaj, la Lazio non è fascista

Uno non fa in tempo a entusiasmarsi per la sarreide, il ritorno di Felipe Anderson e le magnifiche sorti e progressive della squadra che sta nascendo, che torna il grugnito dei fascisti che infestano la curva della Lazio.

I fatti si conoscono: Hysaj ha cantato Bella ciao nel ritualino social dei giocatori della Lazio. Ciascuno canta una canzone. Lui quella. Che l’abbia cantata perché gli piace, per far riferimento a una serie tv o a un contenuto storico/politico, fatti suoi. Si tratta di una canzone popolare conosciuta in tutto il mondo, non si vede quale sia il problema.

Insorge, però, le vene del collo gonfie, il fascistone curvarolo: questa canzone non s’ha da cantare. E tanti a porsi la questione dell’opportunità: ma nun potevi cantanne n’antra? No.
L’aggressione subita e la discussione seguita dimostrano ancora una volta un punto di vista: di certi comportamenti sembra ci si debba giustificare.

Altri, invece, viaggiano tranquilli e arrivano a destinazione senza che si sollevi un ma. Così diventa lecito mettere sotto accusa (e intimidire, insultare, minacciare) un ragazzo solo perché ha cantato una canzone cara ai partigiani. Un inno di libertà cantato da quelli che hanno lottato contro il fascismo: c’erano tutti, comunisti, socialisti, cattolici, azionisti, monarchici eccetera.

La società costretta a fare due comunicati, uno soft prima dello striscione minaccioso degli ultras, uno più duro dopo, sempre arrovellato di arzigogoli che decorano un concetto che si potrebbe rendere con una mezza riga scarna e definitiva: la Lazio non è fascista.
Ma viva la Lazio, e grazie per lo sforzo fatto.

La reazione veemente e generale dei tifosi di buona volontà, di sinistra, di centro e di destra, segna un piccolo cambiamento che arriva anche sulla maggior parte dei media: si fanno i distinguo, si parla di frange estremiste e oltranziste (basterebbe parlare di frange fasciste), si capisce, finalmente, che la Lazio di queste manifestazioni odiose è ostaggio, che le subisce e ne paga i danni. Un concetto che gridiamo in tanti da più di un quarto di secolo, senza mai stancarci, e che dai e dai forse comincia a passare.

I tifosi della Lazio sono centinaia di migliaia, gli ultras nazifascisti qualche decina.
In cerca di una visibilità che manca, per tutte le frange ultras interessate, da quasi un anno e mezzo. Questa storia gli ha restituito le pagine dei giornali, ma anche, per quello che vale, la rabbia e la disapprovazione della stragrande maggioranza dei tifosi.
Quelli tenuti in ostaggio, la domenica, allo stadio, dal solito gruppo violento e prevaricatore.

Una storia semplice da raccontare, anche se le troppe socialscimmie attive su questi temi si riempiono la bocca di stupide battute tifose. Chiunque segua le vicende del calcio conosce le dinamiche che hanno portato alla colonizzazione delle curve da parte di gruppi spesso legati all’estrema destra, che sovente trovano spazio sui media per fatti  di cronaca che con lo sport non hanno niente a che spartire.

Che tifare per una squadra non c’entri niente con la politica è pacifico.
Che un tifoso si debba sentire in obbligo di dissociarsi da comportamenti da codice penale di qualche esaltato è una ridicolaggine tutta nostra.

Possono mai porsi una questione del genere un Alessandro Portelli, un Edoardo Albinati, un Riccardo Cucchi? No. E perché dovrebbe sentirsi in obbligo di farlo uno qualunque dei tantissimi laziali antifascisti?

Salutiamo, perciò, la ritrovata sensibilità dei media, auspicando che la Società faccia l’ultimo sforzo per comprendere che c’è differenza tra lo stigmatizzare genericamente certi atti e condannarne esplicitamente la matrice politica fascista.

Una condanna implicita non equivale a un grido, forte e chiaro, che dica che la Lazio rifiuta ogni accostamento al fascismo. Per Maestrelli partigiano, per Bitetti che il Duce lo consegnò ai partigiani, e per tutti i laziali che si riconoscono nella Costituzione.

 

 

 

L’importanza di essere Immobile – Lezione di calcio per principianti e analfabeti funzionali

di Giacomo Tortorici
https://www.facebook.com/tortorix
Subito dopo l’impeccabile vittoria degli Azzurri col Belgio, mi è toccato ascoltare e leggere le immancabili critiche a Immobile, critiche spiegabili esclusivamente con una scarsa conoscenza del gioco del pallone o con la malafede.
Simili cose in Italia soprattutto le abbiamo dovute leggere anche nei confronti di Cristiano Ronaldo (uscito col suo Portogallo) e che è attualmente il capocannoniere della manifestazione, dello stesso Lukaku che, seppur limitato al massimo dai superbi Bonucci e Chiellini, è stato comunque pericoloso e ha segnato su rigore. E, se ancora si pensa che in queste grandi manifestazioni, il centravanti forte è quello che segna più goal, è evidente che siamo rimasti al meraviglioso 1982. Dobbiamo però prendere atto che il calcio è cambiato, che i grandi numeri i centravanti li fanno soprattutto nelle squadre di club dove c’è un gioco atto ad esaltare le loro caratteristiche, piuttosto che nelle Nazionali dove si deve fare di necessità virtù. Che poi è esattamente quello che fa Immobile in Azzurro.
Certo la partita con il Belgio non è stata la sua migliore, ma la sufficienza, a differenza di quello che s’è letto e sentito, se l’è ampiamente meritata, almeno a parere mio e di Roberto Mancini. E ora vi spiego perché, anche grazie ad un servizio di Sky nel quale hanno fatto sentire le parole che il Mister diceva al centravanti della Nazionale: “Non preoccuparti Ciro, stai lì, stai lì!”. Il Belgio giocava infatti con tre difensori centrali e due ali a tutto campo, contro i tre attaccanti italiani: difensivamente situazione ideale, in teoria. Nella pratica, siccome Immobile, a differenza di quanto scrivono i nostri Mister da social e giornalisti, è forte forte, su di lui dovevano essercene sempre almeno due, per questo il Mister non voleva che facesse il suo generoso lavoro di ripiegamento difensivo, ma doveva essere lì, in modo da tenerne bloccati due e mettere in superiorità numerica Chiesa e soprattutto Insigne e i centrocampisti quando avanzavano in mezzo al campo. Esattamente lo svolgimento dell’azione dei due goal. Sul primo tra l’altro Immobile si era guadagnato il rigore, per questo è rimasto a terra per poi risorgere come Lazzaro, al goal di Barella, per indirizzare anche un po’ il lavoro del Var. Insomma in una delle sue peggiori partite in Nazionale dove vanta uno score di 15 goal in 50 partite (pochissime giocate per intero), Immobile ha partecipato all’azione di entrambi i goal, portandosi via i difensori, aveva rimediato un rigore e aveva rubato il pallone a Courtois, in una maniera che solo un arbitraggio molto rigido ha potuto considerare irregolare. Questo vede chi conosce il calcio.
Gli altri probabilmente avranno scritto che l’Italia del 2006 ha vinto i mondiali senza centravanti, perché Luca Toni ha segnato solo in un partita (doppietta contro l’Ucraina) o Pippo Inzaghi solo un goal, o forse non l’avranno scritto, perché non hanno lo stigma di Immobile: quello di essere il centravanti di un club che è dal 1927 che non si adegua (letteralmente) al Regime, anche comunicativo.
Eppure basterebbe poco: un po’ di deontologia da parte della stampa e da parte di tutti un friccichetto di dignità. Ma lo so: #magnotranquillo

Dissertazioni pallonare ( per chi non ama il calcio)

di Giacomo Tortorici
https://www.facebook.com/tortorix

Dicono che sia lo sport più amato al mondo perché è una metafora della vita, non lo so. Forse è proprio la vita a svolgersi su quel rettangolo verde e tutto quello che ci sta intorno.
E oggi Italia – Svizzera ci dà modo di ragionare sulla gestione del gruppo e dell’individuo nel gruppo stesso, argomento affascinante sia per chi, come il sottoscritto, si trova a dirigere un po’ di persone, che per chi si trova invece a far parte di team di lavoro, magari con una personalità spiccata.
L’attuale allenatore dell’Italia, Roberto Mancini, da giocatore era proprio così: calciatore fantastico dalla personalità spiccata che però in Nazionale non ha mai reso secondo le aspettative.
Agli Europei dell’88 partì titolare in una Nazionale simpatia, molto simile nella freschezza a questa, segnò anche nella prima partita, ma poi gli fu preferito l’esperto Altobelli. A Italia ’90 non giocò nemmeno un minuto.
Oggi aveva l’opportunità di sostituire sul 2-0 un Ciro Immobile stanco dopo una partita generosa, ma priva di goal, eppure ha preferito tenerlo in campo. Poteva mettere Belotti, grande e grosso, abile a tenere palla, far esordire Giacomo Raspadori pronto a esplodere la sua gioventù e invece ha tenuto in campo il bomber di Torre Annunziata. Che l’ha ripagato, timbrando all’ottantanovesimo il goal che ha sprangato la partita.
L’ha fatto perché nella gestione del gruppo, saper coccolare, senza viziarlo ovviamente, il bomber è fondamentale, perché con questa squadra l’Europeo puoi vincerlo solo con i suoi goal e tu sai che più segna, più prende fiducia, più può risegnare nelle partite che contano.
Fiducia, continuità, ma anche la capacità di tenere tutti gli altri attaccanti pronti a sostituirlo: dura la vita dell’allenatore, ma anche del Direttore in fondo. E facilissimo sbagliare.
Ma oggi è stato fondamentale, a mio parere, anche la coscienza della propria storia, veramente magistra vitae (ludique aggiungerei con un orrido latinorum), cercando di offrire a Immobile quelle opportunità che Mancini non ha avuto o forse non ha saputo sfruttare.
C’è sempre insomma da imparare e da insegnare. Ma certo lo so: #magnotranquillo

Il saluto di Simone

La lettera di Simone Inzaghi ai tifosi laziali, pubblicata dal Corriere dello Sport.

«Carissimi tifosi laziali, avevo 23 anni quando sono arrivato a Roma. Ero un ragazzino pieno di sogni e ambizioni che pensava solo a diventare un calciatore affermato. La Lazio in quel momento rappresentava per me una splendida opportunità, una possibilità per raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissato. Mai mi sarei immaginato che sarebbe diventata la mia nuova casa. Giorno dopo giorno, quell’esperienza professionale è diventata molto di più. Ho scoperto una nuova famiglia. Non è semplice retorica, è la realtà. Sono trascorsi altri 22 anni da quel momento, metà della mia vita. Sono cresciuto e diventato uomo insieme a tutti voi, trascorrendo anni meravigliosi. Non dimentico né le gioie né le lacrime. Non dimentico le vittorie, né tantomeno le sconfitte, che non mi hanno mai fatto dormire la notte. Tutto questo da parte della mia vita e lo porterò per sempre con me. Ecco perché non è stato facile e non lo è tuttora voltare pagina. Non è una cosa che si può fare in un minuto, una settimana. Ci vorrò tempo per elaborare le emozioni e un cambiamento così radicale, dove le emozioni si scontrano una con l’altra. Non ho problemi ad ammettere che lasciare la Lazio sia stata una delle scelte più complicate della mia vita, non ho avuto ancora nemmeno la forza di andare a svuotare l’armadietto a Formello. I motivi che mi hanno portato a fare questa scelta non voglio affrontarmi ma è probabile che tutti avremmo potuto fare meglio. Nessuna polemica s’intende. Non le ho mai fatte. Il biancoceleste per me resterà solo amore. Senza il presidente Lotito e il ds Tare non avrei mai potuto realizzare il mio sogno di allenare la mia squadra del cuore. Allo stesso tempo però sono anche un professionista che ama il suo lavoro: per questo la mia determinazione e la voglia di mettermi in gioco mi portano lontano da Roma e non nego di essere completamente concentrato su questa nuova avventura con l’Inter. Ma voi, tifosi e amici e compagni, mi mancate e mi mancherete e volevo farvelo sapere. Non sono uno di molte parole ma oggi sto facendo un’eccezione proprio per questo, anche perché più passano i giorni e più i miei pensieri escono dal cuore. Si dice che le persone care bisogna lasciare andare e io lo sto facendo, abbracciando simbolicamente ciascuno di voi. Tutto quello che potevo dare l’ho dato, a discapito anche della mia famiglia, della mia salute e delle mie corde vocali. Credetemi, quando uscirò il calendario la prima cosa che farò sarà vedere il giorno in cui tornerà all’Olimpico. E ve lo dico già adesso: verrò sotto la Curva Nord per salutarvi. Non mi interessa se ci saranno fischi o applausi, accetterò qualsiasi cosa. Io ci sarò. Faccio un grosso in bocca al lupo a mister Sarri. Un grandissimo allenatore che farà il bene della Lazio. E che riceverà tanto in cambio perché troverà una tifoseria meravigliosa e un gruppo di ragazzi straordinari. Calciatori e prima ancora uomini fantastici, che non ringrazierò mai abbastanza per avermi dato sempre tutto e anche qualcosa di più. E poi ci sono tante persone dietro le quinte a Formello che in pochi conoscono, ma che sono state fondamentali e preziose per me e per tutti noi. MI hanno accompagnato nel mio cammino. Non dimenticherò mai le loro lacrime: avrete sempre un posto del mio cuore. Sentirò sempre la Lazio come casa mia e io per voi resterò sempre e solo Simone. È stato un privilegio e un grande onore. Abbiamo scritto e raccontato tutti insieme anni che rimarranno nella storia. Vi voglio un mondo di bene. Sarete sempre parte di me».

Il giorno in cui smisi di fumare

di Romolo Giacani

Roma, maggio 2026.
Ti ricordi quando mi dicevano “perché ti sei fissato con questa difesa a 4! Cambia ogni tanto!” Oppure quelli pronti a criticare “perché sostituisci sempre chi è ammonito?” e quegli altri invece che mi rimproveravano qualche acquisto “fai giocare sempre gli stessi, fai qualche cambio ogni tanto”.

Meno male che sono andato dritto per la mia strada. Perché a me non mi basta vincere, a vincere sono buoni tutti. Mi piacciono le iperboli, le idee che viaggiano sulle gambe degli uomini e quando il pallone disegna sul campo quello che hai per la testa, mi sembra di essere dentro una poesia di Bukowsky.

E’ stata dura, ma non mi sono arreso, neanche quando mi rinfacciavano il credo politico. Che poi pure Maestrelli era di sinistra, ma questi son pischelli, magari neanche sanno chi è Maestrelli. Certo forse pure io potevo evitare di andare sotto la curva con il pugno alzato, ma ero troppo felice, avevamo appena vinto il derby.

Contro quell’antipatico di portoghese poi, giusto in tempo prima che lo cacciassero…che gusto! Come questa sigaretta. La devo assaporare per bene, fino al filtro. Quando uno fa una promessa è quella, anche se la fai esclusivamente con te stesso: avevo detto, se vinco lo scudetto qui basta, smetto di fumare.

Che mi diceva la testa! Forse non ci credevo neanche io.
Oppure invece proprio al contrario: ero sicuro! Ed ero anche sicuro che quello sarebbe stato il miglior modo di smettere. D’altra parte i numeri erano dalla nostra parte: 74, 00, 26 succede ogni venticinque anni.
Adesso però è ora.
Ultimi 90 minuti, andiamo a scrivere la storia.

Una sigaretta, la Lazio e il sarrismo

In una città dove per uno che si dichiara Laziale, ce ne sono più di tre che si dichiarano di #inquelli, nonostante poi le presenze allo Stadio e gli abbonamenti alla TV propongano un rapporto di 1 a 1,3, non c’è niente che mi faccia sentire me stesso e divertirmi come essere Laziale, contro la narrazione dominante, contro i media, contro tutto, tutti e Totti (fino a quando c’è stato).

Ogni Laziale è diverso, non ci hanno dato una squadra da tifare. È lei che, a volte imprevedibilmente, ci ha scelto. Una sola cosa accomuna tutti noi: siamo disincantati, ipercritici, soprattutto verso noi stessi. Mentre il motto del tifoso romanista è: “la Roma non si discute, si ama!”, il Laziale acritico non esiste.
Per questo gli ultimi 14 giorni, dall’abbandono di Inzaghi all’odierno ingaggio di Sarri, sono stati un concentrato di lazialità, che si è espressa, non essendoci il campionato, soprattutto sui social. Dopo la dipartita del tecnico spiacentino, abbiamo iniziato a prefigurare l’arrivo di chiunque potessimo già criticare.
Appena ha iniziato a circolare poi il nome di Sarri, uno che oltre a un curriculum di tutto rispetto, è famoso per essere un personaggio fuori le righe e per la bellezza, a volte superflua, del gioco delle sue squadre, è iniziato il delirio social.
Sarri fuma e i tifosi laziali, dai più giovani e scalmanati, ad austeri professori universitari, fino al sottoscritto hanno iniziato a riempire i social di emoticon con la sigaretta. E basta. Niente parole, solo emoticon: bastava che chiunque parlasse di qualcosa che avesse a che fare con la Lazio e una serie di matti metteva le sigarette.
Sembrava impossibile, la trattativa non si sbloccava, il Presidente Lotito non aveva mai puntato su qualcuno di già affermato e noi mettevamo sigarette, divertendoci in ogni caso.
Oggi l’account ufficiale della Lazio, proprio come noi tifosi, fregandosene del politically correct, anteponendo il gusto irresistibile per noi romani dell’ironia, all’ipocrita senso dell’opportunità annuncia l’arrivo di Sarri con un’emoticon: la sigaretta.
E poi a stretto giro, per riaffermare ancora una volta l’inestricabile incrocio di ironia, amore per il bello e per i guai che ci contraddistingue, carica un video su Sarrismo e Lazialità. Un minuto di noi: un quadro impazzito con Gandhi, Martin Luther King, Gascoigne, Paolo Di Canio, la Curva Nord, il tifo, l’arte, la bellezza e infine Sarri.
E probabilmente non vinceremo niente, ma ci saremo stati e comunque ci siamo già divertiti, contro tutto e contro tutti, abbiamo acceso la miccia con una sigaretta. Nessuno ci vorrà o ci potrà capire. Lo so: #magnotranquillo

Finalmente: Sarri

Quanto può durare la trattativa per l’ingaggio dell’allenatore di un club importante? C’è chi la chiude in una nottata, nonostante il mister si sia impegnato a rinnovare con altri: è capitato quindici giorni fa, il ragazzo-mister della Lazio aveva accettato la proposta di Lotito ma era insoddisfatto, si vede, desideroso di nuove sfide o di qualche dollaro in più.

Così ha detto: spiace. E noi ci siamo arrabbiati perché poco prima, giusto poco prima, aveva esternato, e non sembrava da lui, un lamento del tecnico vincente e ignorato dalla sua società, costretto a elemosinare un rinnovo da mesi e mesi, manco fosse una fidanzata lasciata a casa ad aspettare un amore che si era dimenticato di lei o aveva trovato di meglio da fare.

Poi è partito il toto-successore, non prima di aver buttato la croce sulle spalle della società, rea di approssimare e di tirare per le lunghe pure le trattative per l’acquisto dei birilli da campo di allenamento. Mentre i cavalieri dell’angoscia si dilettavano a ipotizzare nomi che alimentassero il dileggio, da Maran a Mazzarri, Lotito si metteva sulle tracce del tecnico in grado di caricarsi sulle spalle un’operazione-rilancio in grande stile.

Maurizio Sarri, detto il Comandante.

Cercato, chiamato, convinto. In due settimane, poche o tante che siano. Tante per chi come me si è astenuto dallo scrivere, per scaramanzia. Poche, per gli standard di Lotito, che sembrava aver trovato un osso duro, in grado di dilatare quanto lui i tempi di un discorso a tavolino. La visita al centro sportivo, i ragionamenti sullo staff, i dettagli economici che non sono mai sembrati il punto centrale della discussione.

Si riparte da un allenatore “giochista”. Abbiamo avuto Zeman e sappiamo cosa vuol dire. Così il vocabolario della Treccani definisce il sarrismo:

sarrismo (Sarrismo) s. m. La concezione del gioco del calcio propugnata dall’allenatore Maurizio Sarri, fondata sulla velocità e la propensione offensiva; anche, il modo diretto e poco diplomatico di parlare e di comportarsi che sarebbe tipico di Sarri.

Non che Inzaghi non ci tenesse al gioco, in tanti lo accusavano come in una litania-mantra di eccessiva rigidità, schiavo di un modulo e di alcune modalità di costruzione divenute forse scontate. Certo, l’involuzione si toccava con mano.

Ora i tifosi sono entusiasti: la piazza è in fermento per l’inatteso rilancio, che dice di una società ambiziosa, che ha programmi di crescita in una congiuntura calcistica tempestosa.
Conoscendo i laziali, la fiducia in bianco durerà poco, ma il quinquennio di Inzaghi, con tanto bel gioco e alcuni preziosi trofei conquistati, sta a dimostrare che la piazza biancoceleste è una delle migliori possibili per un allenatore che punta sulla costruzione di un collettivo in grado di esaltare le qualità dei singoli.
La Lazio di singoli di alta qualità ne ha già tanti.

Sarà una piccola-grande rivoluzione tattica. Vedremo se i giocatori in rosa saranno di suo gradimento e quali saranno le scelte di mercato della società. Di certo chi poteva essere attratto da sirene interiste ha, oggi, un motivo in più per rimanere e voltare pagina. A Formello si lavora per vincere: Sarri, tra Napoli, Juventus e Chelsea, è stato sempre nei primi tre in classifica e ha centrato uno scudetto e un trofeo europeo.

E poi ci sono tutti gli accostamenti che sembrano segno buono: Sarri è nato il 10 gennaio, in piena ricorrenza laziale, e gli ultimi due allenatori toscani sono stati Fascetti (Viareggio) e Maestrelli (Pisa). Amatissimi. Non si contano i tifosi laziali che hanno chiamato un figlio Tommaso. Persino Inzaghi…